Sri Sathya Sai Guru

La necessità di una cosciente e salda posizione spirituale

C’è chi è convinto che per essere in un cammino spirituale basti credere in Dio, aderire a qualche religione o disciplina quotata come “spirituale“, associarsi ad altre persone allo scopo di condividere le proprie opinioni, informazioni ed esperienze, così da espandere le proprie conoscenze “spirituali“. Se tutto questo non lo si può ritenere completamente errato, almeno lo si dovrebbe considerare abbondantemente incompleto. Come nello studio delle lingue imparare l’alfabeto è il primo passo, conoscere le regole e le strutture grammaticali è fondamentale, ma la pratica è indispensabile, è di tutt’altro ordine e grado.

Se nello studio, come nell’apprendimento di un qualsiasi lavoro, la pratica occupa un posto di particolare rilievo, esattamente come l’acqua per chi desidera imparare a nuotare, nella via spirituale quella stessa pratica richiede anche un atteggiamento speciale: “avere le mani nella società mantenendo la testa nella foresta“. In altri termini, se si considera la spiritualità puramente un insieme di riti, preghiere, mantra, canti e servizio, il tutto condito con l’erudizione, la stiamo declassando. Nella via spirituale tutto quello che si studia deve favorire la pratica, la quale non deve limitarsi ad apportare solo positivi cambiamenti esteriori, a livello culturale e comportamentale, bensì deve operare una individuale trasformazione interiore, deve consapevolizzarci della nostra divinità interiore.

L’unico modo per avanzare nella via spirituale è l’analisi di quanto emerge e sostiene la pratica stessa. Comprendere cosa le funge da supporto – se è reale o non-reale, sostanziale od effimero – e come trascendere tale supporto è la base del “conosci te stesso“. Condizione questa indispensabile per giungere a Quello, a Colui al quale non si possono dare definizioni, attributi o attribuzioni.

Nel contesto dell’etica yogica, Patanjali, nel suo Yoga Sutra, ci introduce i klesha, le cinque afflizioni che rappresentano le cinque cause della sofferenza terrena:

  • avidya – ignoranza o falsa comprensione della vera natura delle cose,
  • asmita – coscienza del proprio sé che provoca egoismo,
  • raga – attaccamento nei confronti delle idee o degli oggetti,
  • dvesha – avversione verso quei pensieri legati a esperienze dolorose vissute nel corso dell’esistenza,
  • abhinivesha – attaccamento istintivo alla vita e paura della morte.

La nave in grado di solcare in modo sicuro i klesha, il mare delle afflizioni, sono le ingiunzioni, i cinque yama:

  • Ahimsa – Non-violenza,
  • Satya – Verità,
  • Asteya – Non rubare,
  • Bramacharya – Astinenza sessuale,
  • Aparigraha – non possedere.

Questi yama, o voti, tutti insieme costituiscono il grande giuramento universale e incondizionato, e non dipendono da classe, luogo, tempo o circostanze. Sono obblighi a cui tutti, in particolare i praticanti, i sadaka, devono attenersi in ogni situazione e circostanza della loro vita, inclusa quella della fase onirica.

Il valore del praticante, inteso come sua crescita interiore, si misura in base all’aderenza all’etica con cui affronta le sfide che la vita gli riserva. Solo mettendosi alla prova si può constatare ed eventualmente intervenire per rafforzare la propria fibra morale.

In merito al primo yama, Taimni, in un commento allo Yoga Sutra, propone una quesito molto interessante su una situazione ovviamente ipotetica: “Dovete andare nell’Artide, ove è necessario per trovare nutrimento uccidere animali. Siete liberi di alterare il voto circa l’ahimsa (non-violenza) nelle circostanze peculiari in cui vi trovate?

Per rendere il quesito più realistico, pratico e attuale, più vicino a noi e al nostro vivere quotidiano – il “qui e ora” in cui è possibile praticare i precetti spirituali – lo riformuliamo prendendo in prestito, in modo esclusivamente accademico, una situazione che ci riguarda molto da vicino: Zelensky.

Per prima cosa osserviamo attentamente quali reazioni stiamo provando e se queste sono in sintonia con la non-violenza, il precetto a cui dovremmo aderire integralmente. In sintesi, ricordiamo che la non-violenza significa astenersi dal recare danno a chiunque mediante azioni, parole e pensieri. Ricordiamoci che tutti siamo raggi di coscienza della stessa Coscienza.

Immedesimiamoci nella seguente situazione: Zalensky, spinge l’Occidente – in particolare l’Europa, dove già trova un ingiustificato terreno fertile presso le sedi istituzionali e politiche sia europee che italiane – affinché scenda effettivamente in campo a fianco e a sostegno dell’Ucraina nella sua guerra contro la Federazione Russa. Questo perché, a suo dire, se dovesse cadere il suo Paese, o si dovesse arrendere, o peggio, essere conquistato dai Russi, tutti saremo in estremo pericolo. Nota a margine: questo, è quello che alcuni analisti indipendenti definiscono il ricatto Zelensky.

Ora, sulla base di questa ipotetico scenario, riproponiamo in chiave attualizzata il quesito posto da Taimna: in qualità di sadaka, persone in cammino spirituale, come ci dovremmo comportare davanti ad un simile ipotetica situazione? Aderiremo alla guerra, o la favoriremo magari partecipando nelle retrovie, oppure, indipendentemente da quello che ci potrà accadere, ci atterremo fermamente al principio della non-violenza, al voto della ahimsa, ovvero, al non recare danno a chicchessia, né in modo diretto, né indiretto?

Si tenga presente che a libello spirituale il “permesso” di uccidere l’avversario, o nemico, sussiste soltanto quando questi invade, il nostro territorio, il nostro Paese, non quando – con una scusa o l’altra, con un pretesto più o meno elaborato – siano noi ad andare a casa sua, nel suo Paese. Su questo, i Maestri Spirituali, incluso l’Avatar del nostro tempo, sono tutti molto chiari.

Evitando risposte compulsive, politiche, o superficiali, ma soffermandosi ad analizzare più l’aspetto interiore che quello esteriore-mondano, si noterà che, in assenza di un percorso precedentemente maturato, la risposta, qualunque essa sia, non è così scontata.

Questo ci porta a comprendere quanto siano importanti i voti nel cammino spirituale e quanto prima di prenderli ci si debba svincolare dalla contingenza mondana ed emotiva. Il passaggio dal particolare all’universale, come l’avere le mani nella società e la testa nella foresta, richiede un controllo sulla propria mente, non meramente fine a sé stesso, egoistico, bensì finalizzato ad indirizzarla vero i più elevati principi senza mai desistere, deviare, retrocedere o ripiegare. Questo implica impegnarsi a possedere una visione del particolare nell’Universale, del valore di questa attuale vita, nel contesto evolutivo della coscienza del Sé.

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