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Devoti presenti, devoti determinati, devoto risoluto
Oggi, in tutto il mondo i devoti di Sri Sathya Sai Baba – l’Avatar della nostra era, il Kali Yuga – festeggiano il Centenario del Suo Avvento.
Da un punto di vista storico, il Centenario è l’occasione per prendere coscienza di un avvenimento di straordinaria importanza, che va ben oltre alla mera materialità con cui gli storici tentano di catalogare e spiegare il susseguirsi degli eventi. Essi non contemplano che tali eventi siano governati da qualcosa che li trascende, poiché lo scopo dell’esistenza umana è quello di condurre ogni singolo individuo al “conosci te stesso“. Quale senso avrebbe, infatti, la nostra presenza in questo mondo se non per tale finalità? A cosa servirebbero le varie esperienze, belle o brutte che siano, se poi colui che le sperimenta non potesse trarne beneficio oltre questo piano esistenziale? Per quale motivo si dovrebbe condurre una vita retta, anziché immorale o anarchica, se non esistesse un prima e un dopo? Il mondo attuale impone un dogma che fatica esso stesso a sostenere. Nel profondo, ogni essere umano avverte di essere figlio dell’eternità, pur non riuscendo a spiegarselo.
Da un punto di vista spirituale, invece, il Centenario non ha un valore rilevante. Quale valore può assumere una data in rapporto all’eternità? Qualsiasi data, in quanto tale, enfatizza la dualità, l’illusione di un prima e di un dopo in rapporto ad un fuorviante senso del presente spesso accreditato come “qui e ora“.
Da un punto di vista prettamente devozionale, il Centenario è un momento di immenso valore, a patto di non ridurlo a semplice ritualità: canti, conferenze e servizio, con l’intento di convergere l’attenzione su sé stessi, o sulla piccola cerchia che guida la comunità!
A tale proposito, illuminante è la secca risposta che diede Baba quando gli fu chiesto perché i Centri si stessero svuotando. “Perché sulla puja è stato installato l’ego“. Vale a dire: i Centri Sathya Sai si ripopoleranno nel momento in cui dalla puja sarà sfrattato l’ego e riposizionata la divinità.
Pertanto, il Centenario si impregna di un immenso valore interiore quando viene visto e vissuto come meta del pellegrinaggio e non come occasione di una festa, la quale troverebbe giustificazione esclusivamente sotto la parvenza di una logica partorita dal proprio ego.
Cos’è un pellegrinaggio?
In parole povere, il pellegrinaggio è un “viaggio” effettuato in contemporanea su due livelli: interiore e fisico. Sul piano interiore richiede una trasformazione coscienziale, che include almeno l’abbandono di certe basse qualità e tendenze, mentre sul piano fisico, implica il dominio sul corpo e i suoi capricci, ad iniziare dal controllo su lingua e pensieri spesso troppo libertini.Vada da sé che, se al pellegrinaggio si attribuisce valore, non lo si improvvisa, ma ci si prepara per tempo.
Se il Centenario fosse stato visto al pari di un pellegrinaggio, molto probabilmente non lo festeggeremo disuniti, o – giocando con parole e concetti – in diverse unità non proprio amichevoli fra loro. Eppure, quello stesso Maestro che accomuna queste “varie unità“, il 23 Novembre 1990, disse:
“Coltivate l’Amore dentro di voi. Considerate tutta l’umanità con sentimenti fraterni. Riconoscete tutti come figli di Dio. Non provate rancore o odio nei confronti di nessuno. Non ferite i sentimenti di chicchessia. Solo un atteggiamento così di gran cuore vi conferirà una felicità senza limiti. Se state celebrando il Compleanno di Swami, questo è tutto quello che desidero da voi. Siate uniti fra voi“.
Se ci guardassimo con onesta serenità, noteremo che la maggioranza assoluta dei devoti Sai non è unito e ha poca o nessuna effettiva intenzione di lavorare per conseguire l’unità. Prediligono l’aggregazione, ma non l’unità. Faticano ad attuare il rispetto e il dialogo con la diversità, nonché l’opportunità che questa offre.
Molti devoti non manifestano alcuna volontà di ridurre le distanze verso la loro controparte, non dimostrano alcuna propensione alla riflessione in merito al loro operato. Al limite si conformano sottostando alla riprova sociale di altri devoti che considerano più influenti, che esercitano una sorta di autorità. Questo atteggiamento, oltre a non è dharmico, è tipico di chi non è avvezzo all’auto-analisi, al mettersi in gioco per elevarsi spiritualmente, per vincere sé stesso.
Diversi devoti con cariche di rilievo, nell’espletare le loro mansioni dichiarano di sentire il peso della responsabilità. Se si fermassero a riflettere qualche momento si accorgerebbero di definire “responsabilità” il loro ego. È lui a non permette loro di godere della leggerezza del servizio che hanno l’onore di svolgere, né di poter dare contestualmente un sano esempio di abnegazione nell’adempierlo.
In tutti questi casi non ci si accorge che si sta “usando” il Maestro come sfondo per far risaltare sé stessi e nel farlo si nega pure l’evidenza.
Alla luce di tale realtà, con quale credibilità possiamo portare avanti la Sua Missione?
Cento giorni fa si proponeva una precisa domanda: Come ci presentiamo al Centenario?
Cinquanta giorni dopo se ne proponeva una seconda: Se ci chiedesse il perché di certe cose, cosa mai potremmo risponderGli?Domande riflessive, queste, finalizzate ad invitare i devoti a non concedere eccessiva importanza al Centenario in sé, ovvero, al suo aspetto mondano dispersivo; bensì di viverlo come un pellegrinaggio focalizzato sulla volontà di una progressiva trasformazione che riduca certi impeti, elimini alcuni vizi, corregga talune tendenze.
Swami stesso ha più volte ribadito l’importanza delle festività e dei riti; però, ha pure dichiarato la loro inutilità nel caso in cui il devoto trascuri l’auto-analisi e la padronanza sulla propria mente, ossia gli strumenti principe del ricercatore spirituale.
L’attività prioritaria dei devoti dovrebbe essere studiare i Testi sacri, i Discorsi Divini di Bhagawan e ascoltare aneddoti, meditandoli a fondo, soppesando ogni parola, frase, concetto, al fine di capire quello che è “scritto tra le righe” e comprendere quello che sta oltre ogni formale concetto. Il viaggio è dal particolare all’Universale, dall’identità alla sua dissoluzione. In questo processo l’unità e la sua pratica giocano un ruolo cruciale.
Il seguente aneddoto, avvenuto nel corso di un Suo Compleanno degli anni ’90 è particolarmente ispirante. È anche alla base di questo articolo.
Swami sembrava prendersela comoda, quasi incurante dell’occasione e della marea di persone che Lo attendevano. Ad un certo punto, uno dei sevak Gli si avvicina e con le mani giunte Gli disse: “Swami, i Tuoi devoti Ti attendono“.
“Devoti?“, replicò Baba, quasi stupito.
“Bhagawan, là, nel mandir, ci sono più di ventimila devoti che attendono il Tuo darshan!“, insistette con garbo il sevak.
“Di quegli oltre ventimila devoti presenti, quelli davvero determinati a raggiungere la Meta forse se ne contano sulle dita di una mano, e, di costoro, forse solo uno è così risoluto a realizzarla!“, sentenziò Baba.
Oggi, i Suoi devoti festeggiano il Centenario del Suo Avvento. Lo celebrano dedicandoGli canti devozionali, letture tratte dai Suoi Discorsi e condividendo ricordi di come Egli ha cambiato la loro vita. Nulla di male in questo, purché questo risulti essere solo l’apertura del sipario e inizi l’opera vera e propria: riflessione e auto-indagine.
Ritagliamoci del tempo per indagare chi è realmente un vero devoto, se è colui che si presenta agli appuntamenti per essere presente, se è colui che è determinato, o se è, invece, quello risoluto a realizzare lo scopo della vita.
Infine, proviamo ad immaginare di essere quel devoto risoluto, ma in mezzo ad una massa compatta di oltre 20 mila devoti tutti risoluti, che lavorano in unità e che non si dividono se hanno idee diverse; anzi, mediante l’ascolto, l’intelligenza e la pazienza appianano le divergenze, si rafforzano e sfruttano le contrapposizioni per generare sempre nuove idee e stimoli per progredire sia insieme che individualmente, sia come servizio reso alla comunità che al singolo.
Riuscite vagamente ad immaginare cosa può fare l’unità? Se sì, chiedetevi cosa vi impedisce di realizzare questa condizione, che per un devoto – a detta di Baba – dovrebbe essere naturale.
Soffermarsi a riflettere su questo aneddoto, sui suoi concetti chiave, permetterà di trovare diversi spunti di riflessione, che sfuggirebbero ad una lettura rapida e avida novità.
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100 Giorni al Centenario
100 Giorni al Centenario
Come ci presentiamo al Centenario?Oggi, 16 Agosto 2025, mancano esattamente 100 giorni al Centenario dell’Avvento di Sri Sathya Sai Baba, la seconda delle tre Manifestazioni del Principio di Shiva.
A differenza della prima Manifestazione, la cui fama rimase fortemente circoscritta per diversi decenni, la notorietà di Sri Sathya Sai Baba raggiunse ogni angolo del pianeta. A partire da quel 20 Ottobre 1940, in cui dichiarò di essere la reincarnazione di Sai Baba di Shirdi e di avere una Missione da portare avanti, progressivamente sempre più persone sentirono parlare di Lui.
Il prossimo 23 Novembre ricorre il Centenario del Suo Avvento. I Suoi devoti stanno organizzando grandi festeggiamenti.
Un proverbio medioevale italiano affermava: alla festa si va con il vestito elegante acquistato con il sudore della propria fronte.
Questi preparativi rischiano di farci dimenticare lo scopo primario, ribadito dalla seguente domanda. Come ci presentiamo all’appuntamento: ognuno per conto proprio, in vari e distinti gruppetti, o tutti insieme, simboleggiando l’Unità tanto predicata dal Maestro?
Qualsiasi devoto di Sri Sathya Sai Baba dovrebbe porsela e impegnarsi a darle una risposta mediante attenta, sincera e profonda auto-indagine; alzando il più possibile l’asticella della propria onestà interiore, proprio come il cammino spirituale richiede. Tale risposta evidenzierà la priorità concessa all’essenza degli Insegnamenti di Swami.
Quello dell’unità è un “esame” inevitabile nel percorso verso la Meta. Molti hanno solo una vaga idea teorica di quello che esso comporta. Pur non essendo possibile spiegarlo a parole, è possibile fornire indicazioni su cui l’interessato potrà meditare e praticare.
Non si è in unità quando si è insieme ad amici, parenti o devoti dello stesso rione. Questa condizione si chiama gruppo, il quale può favorire una sorta di spirito di cameratismo, che però resta circoscritto al medesimo gruppo, oppure esteso ad altri della federata. Ma cosa succede quando ci rapportarci, con chi è esterno alla nostra cerchia e ha idee ed atteggiamenti a noi opposti? Esagerando, ci sentiremo ancora in unità in un covo di vipere?
Si è in unità quando non è più necessario ricorrere ad alcuna mondana educazione, o richiamare alcun Insegnamento spirituale. Quando, oltre al livello intellettuale e spirituale, si ha superato anche il concetto stesso di unità. Si è. Parlare di “onde” e del “mare” che le sostiene perde significato, al pari di definire quello stato Realtà. Il “mare” è. Non c’è un secondo che lo possa identificare, immaginare o chiamare.
I devoti si raggruppano in quattro categorie: quelli che necessitano di un Maestro fisico, quelli che lo cercano in un surrogato, quelli che si legano ad un luogo fisico e quelli impegnati a realizzare l’essenza degli Insegnamenti.
Le prime e tre categorie, anche se in modo non plateale, saranno sempre in lotta fra loro per qualche riconoscimento. Sono come il bambino che afferma:”La mia mamma è la più bella“. Non può ammettere che anche le altre mamme sono belle, ne va della sua auto-stima e del rapporto con sua madre. La quarta categoria, invece, medita sullo spirito di unità che soggiace e lega tutti gli essere animati e non, indipendente dalla loro collocazione spaziale.
Quelli delle prime tre categorie hanno un Maestro, o un luogo che glielo ricorda, ma di fatto ancora non credo realmente in Lui. Lo utilizzano come rassicurante supporto, come il bambino che pretende la luce accesa per scacciare la paura. Non sfrutta ancora la luce per elevarsi.
Cento giorni al Centenario. Quante appaganti congetture si lasceranno cadere per viaggiare leggeri e giungere all’appuntamento con una maggiore consapevolezza di cos’è l’Unità?