Buona compagnia e Satsang
La “buona compagnia” non sempre va a braccetto con il termine sanscrito “satsang“. Sebbene le due compagnie possano apparire simili — entrambe implicano lo stare insieme ad altri in modo positivo — il loro significato e la loro finalità sono profondamente diversi.
Con “buona compagnia” ci si riferisce, in senso generale, alla presenza di persone piacevoli, sincere o moralmente rette, con le quali è gradevole trascorrere del tempo. È un concetto umano e relazionale legato alla sfera etica, affettiva e sociale, poiché sostiene, conforta e stimola la crescita personale in un contesto di amicizia, rispetto e benevolenza reciproca. Questo tipo di compagnia rimane ancorato al mondano.
Il satsang, invece, ha una connotazione spirituale. Non riguarda soltanto la bontà o la moralità degli individui, bensì la loro determinazione verso la Verità (sat). In un satsang non ci si riunisce meramente per condividere idee o sentimenti positivi, ma per contemplare la Realtà ultima, per trascendere l’ego e riconoscere quello che è eterno ed immutabile dal transitorio e mutabile. La compagnia del satsang è dunque “buona” non tanto per le qualità personali dei partecipanti, quanto perché è centrata sul mutuo sostegno ed aiuto lungo il cammino verso la Verità e sulla Consapevolezza. Avente carattere spirituale, i suoi aderenti sono impegnati nel trascendere il mondo fenomenico e l’ego.
Delle due compagnie va apprezzato quello che le accomuna, e compreso quello che le contraddistingue. Entrambe condividano alcuni requisiti di base; ma, mentre la “buona compagnia” eleva il carattere, quella del “satsang” risveglia la coscienza della propria Realtà interiore.
Dimenticando questa sottile ma sostanziale differenza, si rischia di scambiare la “compagnia dei buoni” per quella impegnata assiduamente nella ricerca di sé stessi. Il semplice riunirsi per trattare argomenti spirituali non costituisce necessariamente un satsang.
Nel satsang lo stare bene insieme, condividere momenti piacevoli, sostenersi o scambiarsi opinioni, non è la finalità. Questi fanno da base al suo intento: la ricerca della Verità e della Consapevolezza. Nel satsang ci si riunisce non per intrattenersi, ma per rivolgere l’attenzione verso quello che è essenziale ed eterno, al di là delle esperienze personali.
La qualità dell’ascolto gioca un ruolo cruciale. Di norma, in una normale compagnia si ascolta per comprendere, per rispondere o per dialogare. Nel satsang si ascolta con silenzio interiore, senza giudizio, reazione o relazione, lasciando che le parole risuonino dentro di sé. Si pratica un tipo di ascolto meditativo, non orientato al discorsivo. Questo non significa che nel satsang non ci sia dialogo.
Le conversazioni del satsang, che dovrebbero caratterizzarsi per il tono contemplativo, si contraddistinguono poiché tendono ad essere rivolte all’essere, non all’io. Non si parla tanto di “me” e “voi“, o di “mio” e “vostro“, quanto della natura della mente, della realtà, del silenzio, della presenza. Ne consegue che non sono incentivate – ovvero, non incoraggiate, né a priori vietate – conversazioni personali, culturali o affettive. L’obiettivo del satsang è sacro e non deve essere alterato.
Quest’ultimo punto merita un breve approfondimento. Poiché nella compagnia del satsang deve vigere lo spirito “uno per tutti e tutti per uno“, occasionalmente potrebbe accadere che la comunità si attivi per andare incontro alle esigenze di un proprio membro, al fine di aiutarlo a superare una difficoltà, o tentare di lenire un dolore. Pertanto, si accetterà un inconsueto moderato sfogo, in modo che quel membro possa trarne beneficio comprendendo le cause della sua situazione e si rimetta prontamente in cammino. Questi casi vanno intesi come eccezionali. La compagnia del satsang non è una compagnia dove andare a riversare i propri mali. Il satsang riunisce ricercatori che marcino uniti, ognuno con le proprie forze, verso la stessa Meta. Se, a volte, qualcuno inciampa, il senso di cameratismo impone che sia aiutato a rialzarsi, ma non che gli si debba insegnare a camminare.
Di solito, dopo la frequentazione di una buona compagnia ci si sente ristorati, confortati e allegri. Dopo un satsang, se è autentico, si deve avvertire quiete, chiarezza e un senso di sereno distacco dalle preoccupazioni abituali. Tuttavia, non di rado, può accadere che si tardi a sperimentare tali benefici, poiché si è restii a rigettare alcune tendenze, abitudini o schemi mentali che, nel bene o nel male, ci hanno accompagnato, rassicurato e cullato per molto tempo; il vuoto causato dalla loro assenza potrebbe destabilizzarci. Si tratta di attaccamenti con cui ci dobbiamo misurare e prenderci il giusto tempo per smontarli senza abbacchiarci o desistere.
Infine, a differenza della normale buona compagnia, in cui tutti sono su un piano paritario e lo scambio resta a livello umano, nella compagnia del satsang la presenza stabile ed autorevole di un Maestro, o dei Suoi Insegnamenti, sono il punto di riferimento per ascendere al Divino.
Pertanto, se la buona compagnia nutre il cuore e le buone relazioni, quella del satsang espande la coscienza e rimuove gli ostacoli interiori. Entrambe sono preziose, ma quella del satsang richiede una propensione alla Verità e un ascolto silenzioso che trascende il semplice stare bene insieme e i mondani opposti di bene-male, mio-tuo, positivo-negativo, e via discorrendo.


