Sri Sathya Sai Guru
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Giornata Internazionale della Donna
Giornata Internazionale della Donna
istituita da Sri Sathya Sai BabaFelice Giornata delle Donne
dal team del PdG -
Omkara
“La parola che tutti i Veda proclamano, verso cui muovono le austerità, per il desiderio per cui si conducono le discipline, Io ti rivelo: è Ōṃ. Questa sillaba è davvero il Brahman eterno, questa sillaba è la Meta Suprema, colui che conosce questa sillaba otterrà quello che vuole” – Katha Upanishad, I,2,16-17.
Il termine “Omkara” indica la fonte primaria del suono primordiale “Ōṃ“. È letteralmente un epiteto riferito a Dio nell’atto della creazione. La Ōṃ è un suono sacro, una sillaba, un mantra e una invocazione. È l’Essenza dell’Assoluto Supremo.
“Colui che non conosce la sillaba imperitura del Veda, quel punto Supremo presso cui vivono tutti gli Dei, che cos’ha a che fare con il Veda? Solo coloro che la conoscono siedono qui pacificamente riuniti” – Rigveda I,164,39.
“Questa sillaba esprime l’assenso. Quando si vuole dare l’assenso a qualcosa si pronuncia Ōṃ. E ciò a cui si dà l’assenso verrà realizzato. Colui che conosce questo venera udgītha come la sillaba Ōṃ realizzerà i suoi desideri” – Chandogya Upanishad I,1,8.
“Ōṃ è il Brahman, Ōṃ è tutto l’universo” – Taittiriya Upanishad, I,8.
Nel Manusmriti viene stabilito che:
“Egli [l’uomo] deve sempre pronunciare ‘Ōṃ!’ alla fine e all’inizio della recitazione dei Veda, perché se non c’è prima, la recitazione si perde, se non c’è dopo, si dissolve” – Manusmriti, II,74.
La stessa fonte dichiara:
“Un sacrificio che consiste nel recitare la sillaba Ōṃ e il verso in onore di Savitṛi è dieci volte migliore di un sacrificio regolare; se mormorato è cento volte migliore e se è recitato solo con la mente è tradizionalmente considerato mille volte migliore” – Manusmriti, II,85.
Quindi, quando reciteremo i mantra, li introdurremmo da tre Ōṃ e li concluderemo da una Ōṃ seguita da tre shanti. Le tre Ōṃ iniziali, come le tre shanti finali, si riferiscono al corpo, alla mente e allo spirito.
Compresa l’importanza della Ōṃ, vediamo perché la si dovrebbe intonare 21 volte.
Cinque Ōṃ sono cantate per gli organi di azione: corde vocali, mani, piedi, organi di eliminazione e organi generativi.
Cinque Ōṃ sono recitate per gli organi di percezione: occhio, orecchio, naso, lingua e pelle, che corrispondono alla vista, udito, olfatto, gusto e tatto.
Cinque Ōṃ sono intonate le cinque soffi vitali del corpo: prana (situato nei polmoni), apana (flatus, che si muove verso il basso attraverso il retto), vyana (diffuso in tutto il corpo), samana (ombelico; essenziale per la digestione) e udana (sale attraverso la gola fino alla testa).
Cinque Ōṃ sono invocate per le cinque guaine o involucri del corpo: quella materiale, quella del soffio vitale, quella mentale-emotiva, quella dell’intelletto e quella della beatitudine.
L’ultima Ōṃ – la ventunesima – è per la persona stessa, e per la sua auto-realizzazione.
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OMKARA – 21 Ōṃ
L’orario ideale per recitare l’Omkara, secondo la tradizione induista, è verso le 4 del mattino, orario in cui la notte si trasforma in alba. Tuttavia, la cosa più importante è recitarla con regolarità e crescente devozione. In questo modo si potranno sperimentare i suoi benefici a livello fisico, psicologico e spirituale.
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Il dolore è familiare e il cambiamento è sconosciuto
La metafora del carcere interiore
Quello che segue è un passo riadattato del discorso che il monaco buddista (Buddhismo Thiến, lo Zen/Chán vietnamita) Thich Nhat Hanh (11/10/1926 – 21/01/2022) tenne al Maryland Correctional Institution, un istituto penitenziario, il 16 Ottobre 1999.
La metafora che propone merita particolare attenzione e una sincera riflessione, in quanto non è così facile scoprire il proprio carcere interiore, quello che ci “incarcera assai più di un carcere fisico.
Spesso si dice che se prendi un prigioniero e lo liberi dopo molti anni, lui non saprà come vivere da uomo libero. Potrebbe persino desiderare di tornare nella sua cella. La paura della libertà, la paura dell’ignoto, è così forte che preferisce la sofferenza che conosce. Noi tutti abbiamo un carcere interiore, e le sbarre di quella prigione sono le nostre paure, le nostre abitudini, le nostre percezioni erronee. Anche se la prigione ci causa dolore, è un dolore che conosciamo. L’ignoto al di fuori della prigione ci spaventa di più.
— Thich Nhat Hanh
Da Be Free Where You Are: A Talk Given At The Maryland Correctional Institute – Sii libero ovunque ti trovi: un discorso tenuto al Maryland Correctional Institute.
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Qual è il suono di una sola mano?
Un giorno un maestro Zen radunò i suoi discepoli intorno a sé. Quindi, batté una volta le mani. La loro attenzione si fece più vigile.
Dopo alcuni minuti di silenzio assoluto, i discepoli iniziarono a guardarsi l’un l’altro. Nessuno comprendeva perché il maestro restasse immobile e in assorto silenzio. Non s’accorsero che la loro fretta di giungere ad una soluzione li stava ingannando.
Una decina di minuti più tardi, cogliendo tutti alla sprovvista, il maestro aprì gli occhi e rivolgendosi al più giovane di loro, un ragazzino di circa dieci anni, chiese: “Qual è il suono di una sola mano?“
Questa domanda è un famoso koan attribuito al maestro Hakuin Ekaku (XVIII secolo). Lo si trova “ambientato” in moltissime storielle Zen. Quella qui esposta è una di quelle tante.
Il termine koan, che in giapponese significa letteralmente “caso pubblico“, indica un racconto, o breve dialogo, paradossale. È una peculiarità del Buddhismo Zen; viene impiegato come strumento di insegnamento e meditazione.
Il koan non esprime un concetto logico convenzionale, ma punta a spezzare i meccanismi abituali del pensiero – il formale e la categorizzazione mentale – in favore di una esperienza diretta della verità. Conduce il praticante ad una comprensione intuitiva della Realtà, detta satori.
I satori possono manifestarsi in molte forme e gradi; sono considerati piccole “illuminazioni“, risvegli improvvisi – passi verso la piena realizzazione spirituale. Queste esperienze preparano progressivamente il terreno per l’illuminazione piena e stabile, spesso chiamata kenshō, realizzare la propria vera natura.
Non si giunge al kenshō senza passare per i satori, ovvero senza la graduale comprensione che la separazione e la dualità sono un’illusione.
Per affrontare un koan ci sono due passi conseguenziali: quello analitico, o intellettuale, e quello esperienziale, o meditativo. Il primo, presto o tardi, deve sfociare nel secondo. Pertanto, “consequenziali” assume che il primo passo possa essere stato assolto anche in vite passate.
Chi affronta la storiella qui presentata con mente logica cercherà di capire il significato della domanda. Potrebbe riflettere così: una sola mano non può produrre un suono nel senso comune, quindi forse vuole farci comprendere che il suono è un’illusione della dualità. Forse “una mano” rappresenta l’unità, e il “suono” rappresenta la manifestazione del mondo fenomenico. Il koan, di conseguenza, alluderebbe al rapporto tra l’Uno e i molti.
Oppure, la risposta potrebbe essere “il silenzio“, poiché il suono di una sola mano è il suono del silenzio. Infatti, il maestro resta immobile, in silenzio, lasciando i discepoli nell’agitazione, movimento.
Questo tipo di ragionamento può essere stimolante sul piano filosofico ed eruditivo, però rimane confinato nell’ambito concettuale: non porta all’esperienza diretta a cui lo Zen mira. Va trasceso.
Trascendere significa superare il confine del filosofico/concettuale per affronta la storia in modo esperienziale, ovvero, non per ricavare una risposta logica, bensì per andare oltre, ricavare una esperienza. Quindi, si siede in meditazione, zazen, respira e lascia che la domanda “Qual è il suono di una sola mano?” diventi viva dentro di sé.
Non cerca parole, né immagini, né spiegazioni. Si concentra sul koan fino a che ogni tentativo di comprendere svanisce. Ad un certo punto la mente smette di analizzare e quello che rimane è una consapevolezza pura, non formale, non duale. La domanda e colui che la pone, sé stessi, non sono più separati. In quell’istante, il “suono di una sola mano” si manifesta non come concetto, bensì come esperienza immediata.
La storiella, per indirizzare l’interessato a questa esperienza, offre un importante indizio: la domanda è posta al discepolo più giovane, colui la cui intelligenza non è invischiata negli schemi mondani. Sembra quasi dire: “Lasciate che i bambini vengano a Me“.
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Capire e comprendere
Che correlazione hanno i termini “capire” e “comprendere“?
Può sembrare una domanda bizzarra, per alcuni fuori luogo, per altri, invece, quasi un subdolo instradamento verso istrionici oscuri fini. Tuttavia, qualunque sia la prima impressione, nessuno potrà esimersi a lungo dall’affrontarla. È di fondamentale importanza capire e comprendere il punto in cui ci si trova, in quanto da questo si muoverà il passo successivo e sarà proprio quel “capire” e “comprendere” a stabilirne la direzione: verso l’illusione o verso la Verità.“Capire” e “comprendere” meritano davvero un’attenta riflessione, sono gli strumenti che danno la corretta sfumatura alla situazione e favoriscono una maggiore profondità cognitiva. “Capisco, ma non comprendo” era l'”ossessione” di Archimede prima del celebre euforico “Eureka” – la gioia incontenibile per aver dato soluzione ad un problema assai complesso, il principio che regola la spinta idrostatica. Tale principio, in quel frangente, serviva a smascherare una subdola avidità, per riportare alla luce quella verità di cui la società necessitava.
“Capisco” è la cessazione di ostilità verso una data situazione o condizione. “Comprendere” è fare propria tale situazione/condizione. In questo modo non essendo più un ostacolo, sarà possibile guidarla per superarla, andare oltre, fino a sperimentare il proprio “eureka“.
“Capire” e “comprendere” richiedono impegno. Un impegno costante che, se accompagnato e sostenuto da una volontà assai determinata, porterà alla vera esperienza, ad una conoscenza viva, anche se questa è ancora appannaggio del sottile ego dell’intelletto. Siamo ancora nella dualità: la conoscenza del sé è profonda, ma non ci si è ancora dissolti nel Sé.
Capire e comprendere sono per il ricercatore spirituale come Virgilio con la sua logica per Dante: permettono di transitare “indenni” i due regni. Inseguito, se non saranno sostituiti dall’Amore, precluderanno quello finale: la liberazione.
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Buon Halloween
La parola “Halloween” è la forma contratta di “All Hallow’s Eve“. Nell’inglese arcaico il termine “Hallow” significava “Santo”. Portato nell’inglese moderno “All Hallows’ Day” assume il significato “la vigilia di tutti i Santi” – ovvero la notte nella quale si dovrebbe restare vigili, non cedere alle braccia del sonno. Halloween, in italiano Ognissanti, non ha nulla a che vedere con le notti di poco gusto proposte dalla cinematografia hollywoodiana.
Nella leggenda irlandese – esportata nella metà del 1800 negli Stati Uniti, quando a seguito di una terribile carestia molti irlandesi attraversarono l’Atlantico in cerca di fortuna – Jack O’Lantern, a cui è precluso sia il Paradiso poiché peccatore, sia l’Inferno per ripetute scommesse vinte a discapito del Diavolo, è costretto a vagare nel limbo oscuro con un tizzone donatogli da Satana e che ripara all’interno di una rapa che ha svuotato.
Aldilà della leggenda va ribadito che Halloween ha un significato profondo e spirituale.
Nelle antiche valli di Erin, l’attuale Irlanda, il tempo dei pastori era scandito dalle necessità del bestiame, il quale doveva essere riportato a valle prima che l’inverno, con il freddo e le sue tenebre, iniziasse.
La fine dell’estate segnava la fine di un ciclo e l’inizio di uno nuovo. Il passaggio dall’estate all’inverno, simbolicamente dal vecchio al nuovo, era vissuto come qualcosa di magico e spirituale allo stesso tempo. “Samhain” significa appunto “summer’s end“, fine dell’estate, nota anche come Festa del Sole. In questo periodo, da una parte si ringraziavano il Sole e gli Dei per la loro generosità concretizzata in abbondanti raccolti, i quali permettevano sia alla comunità che al bestiame di superare il rigido inverno, dall’altra li si pregava per esorcizzare i pericoli che la nuova stagione poteva serbare.
Alla vigilia del nuovo anno, ovvero il 31 Ottobre, secondo le credenze celtiche gli spiriti dei morti potevano unirsi al mondo dei viventi annullando temporaneamente le leggi del tempo e dello spazio. In questo modo, gli spiriti erranti dell’aldilà potevano vagare ancora una volta sulla Terra prima di entrare permanentemente nel Tir nan Oge, la dimora dell’eterna giovinezza e felicità.
La morte era il tema predominante di questa festività, probabilmente perché oltre a segnare la fine di un ciclo, segnava per i vivi l’inizio di uno nuovo, mentre per i trapassati la loro destinazione. Nel corso della festività, tra balli e canti attorno al Fuoco Sacro, i celti cercavano con l’allegria di superare la paura della morte, passo obbligato per la rinascita dell’aspetto esteriore (natura) e di quello interiore (lo spirito umano) e da affrontare con coraggio e pienezza.
Simbolico e significativo è il fatto che terminata la cerimonia del Fuoco Sacro, che si teneva in raduni nei boschi e sulle colline, ogni partecipante doveva ritornare alla propria dimora illuminando il proprio cammino con la lanterna accesa da quel Fuoco Sacro.
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Buona compagnia e Satsang
La “buona compagnia” non sempre va a braccetto con il termine sanscrito “satsang“. Sebbene le due compagnie possano apparire simili — entrambe implicano lo stare insieme ad altri in modo positivo — il loro significato e la loro finalità sono profondamente diversi.
Con “buona compagnia” ci si riferisce, in senso generale, alla presenza di persone piacevoli, sincere o moralmente rette, con le quali è gradevole trascorrere del tempo. È un concetto umano e relazionale legato alla sfera etica, affettiva e sociale, poiché sostiene, conforta e stimola la crescita personale in un contesto di amicizia, rispetto e benevolenza reciproca. Questo tipo di compagnia rimane ancorato al mondano.
Il satsang, invece, ha una connotazione spirituale. Non riguarda soltanto la bontà o la moralità degli individui, bensì la loro determinazione verso la Verità (sat). In un satsang non ci si riunisce meramente per condividere idee o sentimenti positivi, ma per contemplare la Realtà ultima, per trascendere l’ego e riconoscere quello che è eterno ed immutabile dal transitorio e mutabile. La compagnia del satsang è dunque “buona” non tanto per le qualità personali dei partecipanti, quanto perché è centrata sul mutuo sostegno ed aiuto lungo il cammino verso la Verità e sulla Consapevolezza. Avente carattere spirituale, i suoi aderenti sono impegnati nel trascendere il mondo fenomenico e l’ego.
Delle due compagnie va apprezzato quello che le accomuna, e compreso quello che le contraddistingue. Entrambe condividano alcuni requisiti di base; ma, mentre la “buona compagnia” eleva il carattere, quella del “satsang” risveglia la coscienza della propria Realtà interiore.
Dimenticando questa sottile ma sostanziale differenza, si rischia di scambiare la “compagnia dei buoni” per quella impegnata assiduamente nella ricerca di sé stessi. Il semplice riunirsi per trattare argomenti spirituali non costituisce necessariamente un satsang.
Nel satsang lo stare bene insieme, condividere momenti piacevoli, sostenersi o scambiarsi opinioni, non è la finalità. Questi fanno da base al suo intento: la ricerca della Verità e della Consapevolezza. Nel satsang ci si riunisce non per intrattenersi, ma per rivolgere l’attenzione verso quello che è essenziale ed eterno, al di là delle esperienze personali.
La qualità dell’ascolto gioca un ruolo cruciale. Di norma, in una normale compagnia si ascolta per comprendere, per rispondere o per dialogare. Nel satsang si ascolta con silenzio interiore, senza giudizio, reazione o relazione, lasciando che le parole risuonino dentro di sé. Si pratica un tipo di ascolto meditativo, non orientato al discorsivo. Questo non significa che nel satsang non ci sia dialogo.
Le conversazioni del satsang, che dovrebbero caratterizzarsi per il tono contemplativo, si contraddistinguono poiché tendono ad essere rivolte all’essere, non all’io. Non si parla tanto di “me” e “voi“, o di “mio” e “vostro“, quanto della natura della mente, della realtà, del silenzio, della presenza. Ne consegue che non sono incentivate – ovvero, non incoraggiate, né a priori vietate – conversazioni personali, culturali o affettive. L’obiettivo del satsang è sacro e non deve essere alterato.
Quest’ultimo punto merita un breve approfondimento. Poiché nella compagnia del satsang deve vigere lo spirito “uno per tutti e tutti per uno“, occasionalmente potrebbe accadere che la comunità si attivi per andare incontro alle esigenze di un proprio membro, al fine di aiutarlo a superare una difficoltà, o tentare di lenire un dolore. Pertanto, si accetterà un inconsueto moderato sfogo, in modo che quel membro possa trarne beneficio comprendendo le cause della sua situazione e si rimetta prontamente in cammino. Questi casi vanno intesi come eccezionali. La compagnia del satsang non è una compagnia dove andare a riversare i propri mali. Il satsang riunisce ricercatori che marcino uniti, ognuno con le proprie forze, verso la stessa Meta. Se, a volte, qualcuno inciampa, il senso di cameratismo impone che sia aiutato a rialzarsi, ma non che gli si debba insegnare a camminare.
Di solito, dopo la frequentazione di una buona compagnia ci si sente ristorati, confortati e allegri. Dopo un satsang, se è autentico, si deve avvertire quiete, chiarezza e un senso di sereno distacco dalle preoccupazioni abituali. Tuttavia, non di rado, può accadere che si tardi a sperimentare tali benefici, poiché si è restii a rigettare alcune tendenze, abitudini o schemi mentali che, nel bene o nel male, ci hanno accompagnato, rassicurato e cullato per molto tempo; il vuoto causato dalla loro assenza potrebbe destabilizzarci. Si tratta di attaccamenti con cui ci dobbiamo misurare e prenderci il giusto tempo per smontarli senza abbacchiarci o desistere.
Infine, a differenza della normale buona compagnia, in cui tutti sono su un piano paritario e lo scambio resta a livello umano, nella compagnia del satsang la presenza stabile ed autorevole di un Maestro, o dei Suoi Insegnamenti, sono il punto di riferimento per ascendere al Divino.
Pertanto, se la buona compagnia nutre il cuore e le buone relazioni, quella del satsang espande la coscienza e rimuove gli ostacoli interiori. Entrambe sono preziose, ma quella del satsang richiede una propensione alla Verità e un ascolto silenzioso che trascende il semplice stare bene insieme e i mondani opposti di bene-male, mio-tuo, positivo-negativo, e via discorrendo.
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Johann Strauss II
“Johann Strauss, il Re dei Valzer, è chiaramente una brava persona. Parla solo tedesco, ma sorride in tutte le lingue” – dalla stampa di Boston (1872).
Il 25 Ottobre 1825 nasceva a Vienna il Re dei Valzer, Johann Strauss II. Oggi, nel giorno del bicentenario della sua nascita, lo ricordiamo con il podcast del 2023 della serie “Sentieri Riflessivi“.
Fu musicista, compositore e direttore d’orchestra viennese. Lo riproponiamo perché la sua vita può ispirare diverse riflessioni in merito al sano patriottismo, al portare onore alla propria Madrepatria, all’amore verso tutta l’umanità, a intraprendere azioni con spirito critico, svincolato e abnegazione. Temi questi presenti in moltissimi Discorsi Divini di Bhagawan.
Il Potere del suo lascito
Il 12 Marzo del 1938, l’Austria, con l’annessione alla Germania, diventa una provincia del Terzo Reich. In quel momento drammatico per gli austriaci e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale (siamo negli ultimi mesi del 1939 e a 40 anni dalla dipartita del Re dei Valzer), allo scopo di tenere alto sia il morale degli austriaci, che sostenere il loro spirito patriottico, il direttore d’orchestra della Filarmonica di Vienna – Clemens Krauss – di propria iniziativa organizzò un concerto interamente dedicato alla produzione di Johann Strauss Figlio. Questo concerto si tenne il 31 Dicembre 1939 e raggiunse pienamente gli scopi.
Da questo contesto nacque il famoso Concerto di Capodanno.Il regime nazista, per questioni politiche e ideologiche, l’anno successivo (il 1940) lo impedì. Tuttavia dovette ripiegare e dal 01 Gennaio del 1941 riprese con ininterrotta regolarità. Attualmente, si stima che sia seguito da circa 3 miliardi di persone.
Emile Zola in una intervista successiva alla dipartita del Re dei Valzer affermò:
Strauss ha mostrato come il mondo può essere bello, io invece ho scritto come il mondo può essere brutto.Sai Baba afferma che al vero devoto di Dio brillano gli occhi. A tale proposito riportiamo la testimonianza di Mark Twain – famoso scrittore americano:
Nei miei viaggi ho conosciuto e visto moltissime persone. A nessuna brillavano gli occhi quanto a Johann Strauss e a Nikola Tesla. Sono felice di aver avuto il privilegio di conoscerli entrambi. -
Il rotolo di pergamena sigillato
Da tempo sollecitava il suo maestro affinché gli rivelasse quale fosse il suo destino, ma lui sorrideva e passava oltre.
Un giorno, lo vide venirgli incontro con un rotolo di pergamena sigillato in mano.
“Questo contiene il tuo destino“, disse. “Ma non aprirlo ancora. Prima, vai nella pianura silenziosa e siediti. Quando avrai compreso il suono del vento tra i fili d’erba, allora potrai rompere il sigillo“.
Colmo di eccitazione, il discepolo viaggiò per giorni fino a raggiungere la vasta pianura. Si sedette e attese come da istruzioni impartite.
Dopo alcuni giorni passati in reverente ascolto, del solito fruscio iniziò ad apprezzarne le diverse sfumature. S’impegnò con maggiore rigore e così, dopo qualche tempo, riuscì persino a distinguere le infinite sfumature: un gemito lieve, un sospiro, un canto gioioso.
I mesi volarono. Assorto nel cosciente ascolto dimenticò il rotolo riposto nella sua bisaccia. Un giorno, all’improvviso, un suono emerse da un luogo profondo dentro di sé. Sembrava lo stesso identico suono che trasportava il vento. Lo ascoltò più attentamente e gli parve che fosse il vento a replicare questo genuino suono.
In quel preciso momento, finalmente, realizzò. Estrasse la pergamena, spezzò il sigillo con animo sereno, quasi ne conoscesse il contenuto. La pergamena si srotolò. Lui rise di pura gioia. Non conteneva una parola, né un segno. Era totalmente vuota, come la sua mente ora.
Aveva impiegato molti anni a leggere la mappa, ma scoprì qui e ora che il tesoro era stato sempre dentro di lui. Il dovere non era decifrare un enigma, bensì sedersi nella vallata interiore, ascoltare e arrivare a sé stessi. Il destino non era scritto da nessuna parte, se non nel battito del suo stesso cuore.
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Se si apprezza la vecchiaia…
La vecchiaia non è una condanna, ma una rivelazione.
— Julio Iglesias —
Ritiratosi a vita strettamente privata nella sua villa di Punta Cana (Rep. Domenicana), Julio contempla il mare, medita, ascolta musica classica, i suoi vecchi album, legge Seneca e Marco Aurelio.
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Qualcosa da cogliere e da coltivare
L’altro ieri avevo scritto un post, una sorta di chiamata alle armi contro il famigerato chat controll. Stavo per pubblicare quando è arrivata la notizia che la sua votazione, prevista per il 14 Ottobre pv, è stata rinviata a data da definire. Le giustificazioni a corredo aggiungevano menzogne alla menzogna.
Rinviare l’obiettivo non significa annullarlo. Dimostra soltanto che la voglia delle autorità europee di spiare i cittadini nella loro riservatezza è solo rimandata. Il pericolo non è debellato, si ripresenterà presto sotto nuove spoglie.
Grazie alle mobilitazioni delle piazze, ma soprattutto a quelle online, in cui gli esperti indipendenti del settore informatico che lavorano nel campo delle tecnologie e della sicurezza informatica, hanno smontato ogni punto del piano della Commissione Europea (CE). I loro “esperti” si sono dileguati, hanno evitato ogni sano confronto, evidenziando così quanto enorme e profondo sia il divario fra cittadini e stanze del potere.
La propaganda con cui la CE tentava di far gradire alle masse il chat control, salvare i bambini dalla pedopornografia online, non era in linea con i loro veri obiettivi. Esattamente come l’identità digitale e il wallet europeo che vengono promossi come facilitazioni per il cittadino, quando in realtà sono il suo cappio al collo. Accettandoli, i cittadini daranno un enorme e ingiustificato potere sulla propria vita ai governanti. Questo non è dharmico. È quello che Giovanni Evangelista preconizzò “Tenevano il numero della bestia nella mano destra“. Notoriamente, la mano destra simboleggia potere e benedizione, a seconda delle circostanze.
Un altro risultato conseguito dalle piazze e dalla mobilitazione online riguarda Gaza. Il piano di pace proposto da Trump, va detto chiaro, è un disperato tentativo di salvare sia la sua faccia di fronte all’elettorato e al dilagante malcontento degli statunitensi, sia quella di Netanyahu che ormai fatica a nascondere le crescenti proteste che riempiono anche le piazze del suo Paese di contestatori che non avvallano più le sue smanie di grandezza.
Israele non rinuncerà ai suoi piani espansionistici, proprio come la CE non abbandonerà il chat control facilmente. Con giustificazioni di facciata li mettono in pausa sinché la pressione esercitata dalle masse nei vari continenti del globo non si attenua.
In tutto questo, cosa c’è da cogliere e da coltivare?
Sotto le vesti della protesta, mossi da una stessa volontà, uniti da uno stesso slogan, “Free Palestine” – quasi una preghiera levata in coro verso l’infinito – popoli diversi, distanti geograficamente e culturalmente, ma animati dallo stesso nobile sentimento, l’amore verso la dignità e la vita di un altro popolo fratello, hanno bloccato, almeno temporaneamente, le disumane mire dell’Occidente collettivo.
Ora, proviamo ad immaginare se questa unità d’intenti fosse costante, non limitata ai soli momenti avversi, bensì attuata regolarmente proprio come il sole risplende anche nelle giornate di pioggia. Cosa accadrebbe in questo nostro pianeta e quale positivo impatto avrebbe nelle nostre vite?
È davvero qualcosa da cogliere e da coltivare. Milioni e milioni di persone, probabilmente senza saperlo, hanno colto l’essenza degli Insegnamenti di Sri Sathya Sai Baba, l’Avatar della nostra era.
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Stiamo perdendo tempo
Si condivide, nel giorno del suo 41° compleanno, il seguente post di Pavel Durov, fondatore insieme al fratello Nikolai della piattaforma Telegram.
Tocca punti sui quali dovremmo meditare e fare la nostra parte nel difendere la Giustizia, i Valori Umani e Sociali, e la diversità, senza quale non è possibile sperimentare l’Unità.
L’Unità non è omologazione, il rendere tutti uguali e considerare fuorilegge chi esce dallo schema imposto da un altro suo simile. Ovvero, quello che stanno portando avanti oggi la maggior parte dei Governi Occidentali.
Ognuno dovrebbe fare del suo meglio, in rapporto alle proprie capacità e possibilità, per unirsi e combattere questa Guerra contro le forze del male che oggi infestano il mondo.
La spiritualità non è isolarsi o estraniarsi dal mondo, né conformarsi ad un sistema non coerente con le Sacre Scritture. Le ingiustizie vanno pubblicamente denunciate, togliendo loro ogni possibile supporto. Nessun cammino spirituale o Religione concorda con persone, organizzazioni o Governi che operano contro l’uomo, la società o Dio.
Va tenuto ben a mente che colui che omologa è contro lo sviluppo spirituale. Dio non omologa; Dio è per la pluralità, il rispetto della diversità, l’abbondanza e l’aderenza alla Legge Divina.
Geremia 17,5: Maledetto [= sia detto male di] l’uomo che confida nell’uomo, che fa della carne il suo braccio, e il cui cuore si allontana dal Signore.
In altre parole: guai a quell’uomo che si sottomette ad un altro uomo.
Sto per compiere 41 anni, ma non ho voglia di festeggiare.
La nostra generazione sta esaurendo il tempo per salvare Internet libero, costruito per noi dai nostri padri.
Ciò che un tempo era la promessa dello scambio libero di informazioni sta diventando lo strumento definitivo di controllo.
Paesi un tempo liberi stanno introducendo misure distopiche come le identità digitali (Regno Unito), i controlli sull’età online (Australia) e la scansione di massa dei messaggi privati (Unione Europea).
La Germania sta perseguitando chiunque osi criticare i funzionari su Internet. Il Regno Unito sta imprigionando migliaia di persone per i loro post. La Francia sta indagando penalmente i leader tecnologici che difendono la libertà e la privacy.
Un mondo oscuro e distopico si sta avvicinando rapidamente – mentre noi dormiamo. La nostra generazione rischia di passare alla storia come l’ultima ad avere delle libertà – e ad averle lasciate portare via.
Ci hanno nutriti con una menzogna.
Ci hanno fatto credere che la lotta più importante della nostra generazione fosse distruggere tutto ciò che i nostri antenati ci hanno lasciato: tradizione, privacy, sovranità, libero mercato e libertà di espressione.
Tradendo l’eredità dei nostri antenati, ci siamo messi su un cammino di autodistruzione – morale, intellettuale, economica e, infine, biologica.
Quindi no, oggi non festeggerò. Il tempo sta finendo per me. Il tempo sta finendo per tutti noi.
Buon Compleanno, Pavel!
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Il devoto e la sua occasione per avanzare
Perché si è pro o contro Gaza? Oppure a favore o contro l’Ucraina, o alle politiche russe, americane, israeliane, europee, cinesi, etc.?
Chi è nel cammino spirituale deve essere conscio delle proprie preferenze e cosa mediante esse tenta di appagare in lui; deve sapere esattamente da dove nascono e se quelle che matura e ospita sono genuine o indotte, e su quali basi le sta prendendo in considerazione.
Il ricercatore spirituale deve essere vigile, in modo da non lasciarsi trascinare né dalle circostanze esterne, né dalle emozioni, o dai tentativi esterni di creargli sensi di colpa. Vili strategie mediante le quali alcuni tentano di fare breccia nelle masse, di dirottarle dalla loro parte. Chi afferma di seguire un cammino spirituale non deve lasciarsi deragliare dal suo sentiero, né chiudersi in un bozzolo per estraniarsi dalla realtà oggettiva. L’equanimità, prerogativa del distacco, inizia da queste prime attenzioni.
Chi si lascia intaccare dal mondo esterno – con i suoi problemi, soluzioni, illusioni, speranze, etc. – non è padrone di sé stesso. Non può considerarsi nemmeno nel cammino che conduce al “conosci te stesso“.
L’emotività è il veleno dell’intelligenza, crea una falsa felicità che è foriera di futuri disagi sia fisici, che mentali. Su questo le Sacre Scritture, i Maestri e i guru sono molto chiari. Si può credere loro sulla parola, oppure dubitare. Nessuno ci impone di credere alle loro affermazioni quanto l’esperienza sulla propria pelle. Ognuno incassa o paga in relazione alla propria scelta, indipendentemente che sia indotta o accettata in modo superficiale. La fede, la coerenza, l’audacia e la determinazione devono essere coltivate interiormente e diffusi presso la collettività per sopperire alla loro assenza nei programmi scolastici Occidentali.
I saggi e i devoti più avanti nel cammino suggeriscono all’unisono di credere alle indicazioni contenute nei Testi Sacri, diversamente non ha senso parlare di devozione, o di cammino spirituale. Il devoto che ha fede nelle Sacre Scritture e scrupolosamente le segue, evita di perdere tempo; evita di concedere prezioso tempo alla sofferenza, poiché si comporta come quel forestiere che chiede indicazioni per raggiungere un certo luogo a qualcuno del posto. Non si smarrirà.
Il devoto non deve chiudersi nel suo mondo, nel suo bozzolo. Deve vivere nel mondo senza essere del mondo oggettivo. Il suo soggiorno sulla terra è finalizzato al proprio progresso spirituale, non rientra quindi nei suoi compiti cambiare il mondo. Pertanto, non si alleerà e non si piegherà a coloro che cercheranno di adattare questo mondo alle loro esigenze. Dal suo punto di vista, per raggiungere l’agognata Meta, il mondo è perfetto così com’è. Non potrebbe chiedere di meglio.
È nei suoi compiti informarsi su cosa accade anche a livello internazionale senza agitarsi, esaltarsi, o far sobbalzare la propria serenità, poiché è nei suoi doveri contribuire all’evoluzione dei suoi fratelli, astenendosi dal proselitismo. La sua politica sarà: chi coglie, coglie, chi non vuol coglie non è mia responsabilità. L’attenzione che un devoto è chiamato a riservare al suo prossimo non dovrebbe oltrepassare la metà della loro distanza.
Il devoto timoroso di Dio dire il vero con la consapevolezza che i fratelli stolti o in malafede gli daranno contro, lo derideranno, lo calunnieranno, lo isoleranno. Deve sapere che per alcuni la verità brucia più del fuoco vivo, ma grazie anche alla sua persistenza essi impareranno ad amarla. Molti di loro sono temporaneamente “ciechi“, non stupidi; presto vedranno e capiranno. Di conseguenza, non deve abbattersi, arrendersi, né arretrare; bensì tentare di indirizzare tutti verso atteggiamenti positivi e non violenti. Questo è il suo battesimo, la prova della sua solidità. È il suo esame, l’occasione per avanzare.
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Introspezione e autoanalisi
La regolare lettura dei Testi Sacri, le indicazioni contenute nei Discorsi Divini dei Maestri realizzati e la compagnia dei veri ricercatori, satsang, sono requisiti di base in qualsiasi cammino spirituale. Tuttavia, tutto questo resta allo stadio del propedeutico o poco più.
Leggere e capire quanto letto non è cosa difficile. Comprendere è di un altro ordine; non è così scontato come i più sono indotti a credere, data l’abitudine di utilizzare questi due termini come intercalari, equiparandone i significati. Hanno molto in comune, ma il secondo è il gradino superiore. Il primo rappresenta l’omologazione, l’accezione generica, ossia di serie, il secondo la personalizzazione.
Prendiamo un esempio dall’arte culinaria. Per tutte le varietà di pizze, la base è sempre la medesima. Una pizza margherita e una pizza alle verdure condividono lo stesso impasto. La pasta della pizza è un rapporto fra precise dosi di farina, acqua, sale, olio e lievito, indicate nella relativa ricetta. Il pizzaiolo esperto segue tali indicazioni, ma sa che essa non contempla i fattori specifici nei quali lui si trova ad operare. In certune condizioni ambientali, come il variare dell’umidità, della temperatura, etc., dovrà aggiungere modiche quantità di farina, o di acqua, oppure lavorare l’impasto più a lungo, al fine di ottenere un buon risultato. Questa operazione, suggerita dall’esperienza e da una chiara visione del risultato che desidera conseguire, implica uscire dall’omologazione, o standardizzazione, in favore della personalizzazione, di quello specifico “qui e ora” in cui si trova ad operare. Questa personalizzazione non stravolge la ricetta, né il pizzaiolo l’adatta a sé stesso o alle proprie esigenze. Tali personalizzazioni sono finalizzate all’obiettivo; lui, il pizzaiolo, è solo il mezzo, mai deve confondersi con il fine.
Similmente nel cammino spirituale: i Testi Sacri sono autorevoli, non ci devono essere dubbi, ma l’attenersi alla loro pratica sarà poco fruttuosa se si rimane rilegati al livello del mero “capire“. Le Sacre Scritture non sono destinate al corpo e alla mente dell’uomo, sebbene questi siano trattati, bensì al suo spirito. È questo che, a tempo debito, si fonderà in Quello.
La persona che segue un cammino spirituale non deve ridursi al pari di un animale in addestramento. La spiritualità richiede intelligenza; infatti, è lei che permette di capire, ed è sempre lei, mediante altre sue facoltà, che lo porta a comprendere, indirizzandolo a superare anche questo stadio, per “essere” l’oggetto stesso del compreso.
Un violino, “tecnicamente“, si suona strofinando la corda dell’archetto in quelle dello strumento. Ovviamente, tutti concorderanno che questo “tecnicamente” nella sua effettività è fallace. Affinché il suono del violino risulti gradevole è fondamentale che lo strumento sia accordato e che a suonarlo sia un esperto, non un improvvisato allo sbaraglio.
Anche questa analogia si confà al sadaka, colui che è impegnato nel cammino spirituale. Il passaggio tra “capire” e “comprendere” richiede una sorta di “intonazione“, un progressivo capire che sfocia in modo naturale nel comprendere, nella nota intonata.
L’intonazione di uno strumento a corde richiede un progressivo aumentare o attenuare la tensione delle corde sinché saranno intonate in relazione alla nota di riferimento: il la. Mentre l’intonazione è una mera frequenza, la nota è molto di più: oltre alla sua specifica frequenza, omologazione, trasmette la profondità del sentimento, la personalizzazione del suonatore. Infatti, nessun strumento elettronico può conferire alla musica l’espressività di uno strumento vero e proprio.
L’introspezione e l’autoanalisi sono gli strumenti che permettono a ricercatore spirituale di fluire dal capire al comprendere. Richiedono una non facile onestà di guardarsi dentro, di ricercare ed esaminare i più piccoli, intimi e profondi dettagli che compongono la propria personalità, il proprio ego. La paura che l’Io uccida l’io, il proprio sé uccida l’ego, fa desistere la maggior parte degli aspiranti spirituali. Fa loro volgere lo sguardo altrove, verso cose più gradite, appaganti, avvallando pensieri giustificativi e interpretando le Scritture in modo da permettere ai due, il sé e l’ego, di coesistano senza incontrarsi. Atteggiamento questo non proficuo allo scopo ultimo del sadaka.
Questa paura deve essere superata nei modi e nei tempi che tutti i Testi Sacri lasciano stabilire al sadaka. Il passo è suo. Non deve essere spinto, né esercitate pressioni, né lui deve essere frettoloso. Deve calibrare le tempistiche a seconda delle proprie esigenze e della percezione che ha della sua realtà e condizione.
La Verità non è di passaggio, è un punto stabile e immutabile che va oltre l’alba e il tramonto dei tempi. Per tale motivo non mette urgenza a nessuno; al contrario, lascia a tutti il tempo di cui necessitano per rendersi conto delle proprie illusioni ed iniziare, così, in modo costante, serio e responsabile a smontarle, a rigettare ogni loro sostegno e giustificazione. L’onestà di guardarsi dentro con obiettività diventerà naturale, per cui praticherà l’introspezione e l’autoanalisi senza interruzione in ogni suo atto.
Ora, non più deviato dall’ignoranza di perdere la propria individualità, sarà auto motivato a conquistare lo stadio del comprendere, il trampolino di lancio per “essere“.
Capire e comprendere sono mezzi che, per essere efficaci richiedono costante manutenzione, ovvero, una scrupolosa ricorsiva introspezione e autoanalisi, sia a livello fisico, che a livello di mente. C’è una stretta correlazione tra fisico e mente.
A livello fisico va data una indicibile importanza all’alimentazione. Questa deve essere rigorosamente vegetariana. Non solo per il rispetto verso gli animali, che potrebbe anche risultare marginale per alcuni, bensì per l’influenza deleteria che il cibo non vegetariano ha sulla propria mente. L’inefficienza della mente incide negativamente sugli strumenti che mette a disposizione, capire e comprendere, e di riflesso il loro corretto utilizzo in seno ai Testi Sacri e alle facoltà dell’introspezione e dell’autoanalisi. Quest’ultime, insieme alla volontà, mettono il morso ai sensi e ai desideri, due fattori in grado di destabilizzare la mente e non favorire un corretto atteggiamento alle altalenanti situazioni della vita.
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San Francesco
Il 4 Ottobre sarà nuovamente Festa Nazionale. Il provvedimento sul Santo Patrono d’Italia è diventato legge, reintroducendo la festività dal 2026, dato che per l’anno in corso è mancato il tempo tecnico per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
San Francesco fu un fervente credente della Parola del Cristo, sebbene alla sua epoca non fu sempre ben accolto dalla Chiesa.
La sua ferma fede nella non-violenza, trasmessa con la lucida semplicità dell’esempio a molti giovani nobili, spinsero diverse casate europee a meditarne l’omicidio, poiché i loro rampolli stavano abbracciando uno stile di vita a queste non gradito.
Tuttavia, Francesco ricordò a questi giovani quale fosse il compito che il Signore aveva loro assegnato e che potevano vivere la Parola di Gesù orientandosi al servizio della Pace e della Verità.
Per comprendere l’esempio e le parole di San Francesco, dobbiamo prima procedere come Gesù: cacciare i mercanti dal tempio.
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Il lascito di Ghandi all’umanità
Oggi è la ricorrenza della nascita di Gandhi.
Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948), conosciuto in tutto il mondo come il Mahatma (grande anima), fu un leader politico e spirituale indiano. Guidò la lotta per l’indipendenza dell’India, il suo Paese, dal dominio dall’Impero britannico, adottando esclusivamente la non violenza e la disobbedienza civile. Due armi queste, o più precisamente due aspetti assunti da Gandhi e dal popolo indiano in modo risoluto, alle quali molti Occidentali di allora risultavano tanto fallimentari quanto una formica potesse avere la meglio contro un gigante ben armato e addestrato. A dimostrazione di quanto si sentissero superiori agli indiani, più di un fugace ironico sorrisetto, i britannici non concedevano a questa vicenda.
Cos’è rimasto, oggi, del lascito di Gandhi?
Nel concreto, assai poco o nulla, nonostante l’incommensurabile valore sociale, culturale e spirituale.Salvo rari casi di sparuti movimenti per i diritti civili, o di certi politici che hanno provato ad emulare il Mahatma più per attirare l’attenzione delle masse su sé stessi che per un vero e sacro obiettivo, l’Occidente presenta sin dai banchi di scuola l’impresa di Ghandi come una evento di poco conto, quasi ridicolo; una leggenda proveniente da una terra lontana, affascinante, misteriosa e strana, che crede in strane cose, ma che la scienza Occidentale può smontare quando e come vuole.
Ancora oggi brucia quella sconfitta a mani nude. Brucia agli inglesi, quanto ad atri Paesi che, economicamente, politicamente e militarmente aspirano o pretendono, in modo diretto o indiretto, a prevalere sulle altre Nazioni, ad intaccare il loro diritto di auto determinazione. Oggi, possiamo riconoscere diverse nazioni elucubrare ragioni per invadere i territori altrui per soggiogare le loro sovranità. Per costoro, comprovato da lunga tradizione storica, lo scopo è sempre il medesimo: razziare le ricchezze altrui.
Ghandi, nella storia mondiale, è un personaggio che non si può negare, però si può occultare. In una parola, è scomodo! Questo per diversi motivi.
Nell’attuale Occidente, la non violenza è associata alla passività e alla resa. Secondo quelle logiche emotive, che spingono l’uomo a preferire emozioni animalesche, anziché facoltà intellettive a lui più consone, è mancanza di virilità. Nelle relazioni internazionali, in cui prevale spesso la logica del potere e della deterrenza, la scelta non violenta appare rischiosa, affermano i politici, poiché non garantisce un’immediata protezione da aggressioni.
Se si analizza tale affermazione si scoprirà che è fuori luogo e che è un puerile tentativo di storpiare il vero concetto di non violenza. La non violenza non è apatia, è una forza interiore senza uguali. Infatti, essa non esorta alla collaborazione con l’aggressore, a spianargli la strada o ad arrendersi a lui. Al contrario, costi quel che costi, con l’Amore nel cuore per Dio e per la Patria, lo si contrasterà nella sua avanzata, nelle sue mire e se tutta la diplomazia per ricondurlo alla ragione fallirà, allora il dharma stesso impone, appena si presenta l’occasione, e solo dentro i proprio confini Nazionali, di eliminarlo. È adharmico non difendere la propria Nazione, la propria terra dall’aggressore.
La difesa di uno Stato non deve essere guidata dalla paura di attacchi esterni, dalle insinuazioni su fantomatici nemici per evitare contatti diplomatici e relazioni commerciali amichevoli. Nemmeno gli armamenti devono essere causa di inquietudine per gli altri Stati, o un affare commerciale. La guerra non deve essere un affare economico, una azione predatoria per facili guadagni sulla pelle di ignari cittadini. Sebbene ogni Stato debba essere militarmente indipendente, auto sufficiente e pronto ad ogni evenienza, la non violenza deve guidare sia le politiche interne che quelle estere, armamenti inclusi.
Un esempio probabilmente poco noto ai più. Per secoli la Finlandia fu parte del regno di Svezia. Nel 1809, in seguito alla Guerra di Finlandia, combattuta tra Svezia e l’Impero Russo – poiché Napoleone impose allo zar Nicola I di costringere gli svedesi ad aderire al Blocco Continentale contro l’Inghilterra, uscita sconfitta pochi decenni prima dalla Guerra di Indipendenza in cui perse gli Stati Uniti (1776) anche grazie all’intervento militare (Gilbert du Motier de La Fayette) della Francia di Luigi XV – gli svedesi persero la guerra e cedettero la Finlandia alla Russia. Per più di un secolo, dal 1809 al 1917, sebbene fosse soggetta allo zar come granduca, quindi alla corona russa, la Finlandia – con le sue istituzioni, leggi e moneta – godette di ampia autonomia interna. Nel 1917, a seguito della Rivoluzione d’Ottobre – fomentata da chi covava rancori e loschi interessi in egual misura, esattamente come al presente – la Finlandia dichiarò la propria indipendenza (06 Dicembre 1917). Fra i primi a riconoscerla, anche per questioni politiche, fu la Russia, il governo bolscevico di Lenin (31 Dicembre 1917).
Su questo breve sunto storico, si deve sapere che la Russia, dal 1809 al 2022, al solo scopo di mantenere buoni rapporti con la Finlandia, comprava da lei enormi quantità di legname, sebbene non ne avesse strettamente bisogno, dato le sue immense aree boschive. I buoni rapporti erano prioritari. Questi rapporti commerciali si interruppero verso il 2022, quando la Finlandia fu convinta ad aderire alla NATO (04 Aprile 2023) e ad aderì alle sanzioni europee contro la Federazione Russa. Proprio pochi giorni fa, mentre il suo Presidente era da Trump, insieme ai “volenterosi“, il Primo Ministro finlandese snocciolava pubblicamente le gravi difficoltà economiche che stanno subendo da quando non possono più commercializzare con la Federazione Russia.
Da questo esempio si evince come, nonostante il principio della non violenza resti immutabile nel tempo e nello spazio, va comunque applicato a secondo degli specifici contesti, esattamente come la verità: la si deve sempre dire, a patto che non rechi danno. In tal caso è preferibile valutare un saggio silenzio, che non è una menzogna – e nel contempo lavorare affinché tutte le parti in gioco siano pronte ad accoglierla quanto prima e senza conflitti. Questo è mettere in pratica il principio della non violenza, quello adottato da Ghandi, ma anche da altre persone. Lo stesso Gesù la praticò, sia davanti a Ponzio Pilato, sia davanti ai Suoi accusatori, sia quando venne crocifisso. Il silenzio della Sua bocca, era il silenzio di un cuore e di una mente che non ribollono.
Esibirsi con hollywoodiani digiuni, accanirsi contro la parte avverso nei salotti televisivi sbraitando le proprie ragioni, o manifestare nelle piazze con le mani in tasca, ma intrattenendo pensieri di odio e urlando improperi o slogan di parte, per quanto possano apparire corretti, non è ahimsa, non è non violenza.
Una piccola amichevole “provocazione” finalizzata a stimolare una maggiore auto riflessione sulla propria aderenza alla non violenza e alla sua pratica in prima persona.
Il nostro Governo non desidera che si definisca quanto sta accadendo a Gaza un genocidio. Le piazze italiane si popolano a favore di Gaza. Ma quanti sono disposti a sostenere Gaza adottando la pratica della non collaborazione nei confronti di coloro che sostengono tale massacro verso gente inerme?
Molte grandi aziende statunitensi e non solo, sostengono le operazioni militari di Israele contro Gaza. Ora, chi fra i pro Palestina rinuncia ai servizi Microsoft, a partire da Windows, a quelli di Meta, quindi a Facebook, WhatsApp e Instagram, a Google, quindi a YouTube, gmail, drive, maps e al suo motore di ricerca, ad Amazon, quindi a Twich, a Prime video oltre al negozio online, solo per citarne alcuni? Chi bicotta queste aziende che di fatto finanziano Israele? Chi rinuncia, seppur con qualche disagio, ai loro servizi per non incrementare le loro entrate e aiutare concretamente non solo la Palestina, ma anche il nostro Paese, che non è incline a riconoscere lo Stato Palestinese? L’Italia non si attivata per arrestare Netanyahu, che solo pochi giorni fa volava con il suo aereo sopra i nostri cieli. I media sono rimasti in silenzio, quindi complici. I programma Rai, Mediaset e La7 (gruppo Cairo Communication) sono seguiti da moltissimi italiani. Come si considerano questi spettatori, pro Palestina o pro massacri?
Finché la disubbidienza civile, la non collaborazione, e la non violenza sono coinvolgenti fenomeni di massa, di riprova sociale, non possono essere considerati autentici. Questi devono sgorgare dal profondo del proprio intimo, devono favorire gli altri a scoprirli per farli sgorgare, farli sentirle più propri delle loro stesse mani ed intelligenza. Solo allora, l’azione collettiva sarà la risultanza dell’azione delle singole persone coordinate all’unisono dallo stesso Principio. L’India è grande e Ghandi, fisicamente non poteva essere presente ovunque. Tuttavia, praticando questo principio e risvegliandolo negli altri, gli indiani si muovevano all’unisono. In altre parole, non era davvero Ghandi a guidare la lotta, ma il Principio stesso della non violenza. Era questo Principio che guidava ogni singolo aderente che lo aveva risvegliato dentro di sé.
Questa è la sostanziale differenza fra non violenza e disubbidienza civile di cui Ghandi fu interprete. Non avrebbe potuto arrivare a tanto senza attenersi scrupolosamente ai Testi Sacri, senza il voto di metterli in pratica in ogni circostanza.
In Italia i politici “venduti” si sono dimezzati… da quando hanno dimezzato i parlamentari. Fra quelli rimasti quanti possono dire di non essere “corrotti” dalle politiche del sistema? Non possiamo misurarlo nemmeno a spanne, però possiamo ricorrere ad un saggio detto Orientale: non si può stare a lungo nella fossa dei serpenti se non si è un serpente.
La non violenza non è un’espressione esteriore di un positivo convenzionale comportamento, mentre interiormente si è dominati dalla collera, dai risentimento e dall’odio, i quali rendono le parole velenose, sofisticate e menzognere. La non violenza è un raggiungimento che supera l’intellettualità e si manifesta in una forza interiore che non cede alla pressione della violenza, non la contrasta con altra violenza, non vede alcun nemico bensì fratelli da aiutare a redimersi. Tuttavia, non si piega all’arroganza, né alla mano armata.
La non violenza che viaggia sola, è una etichetta ingannevole su un prodotto contraffatto. L’autentica non violenza, come sosteneva Ghandi, in accordo con le Scritture e sintetizzando i grandi Maestri spirituali, viaggia in gruppo, viaggia con la Verità, l’Amore, la Rettitudine e la Pace.
Quella tanto gettonata oggi e associata al Mahatma è dannosa a sé stessi e alla società. È qualcosa di scimmiottato e fuorviante. Come ci insegna lo stesso Bhagawan, se vogliamo correggere il Governo della nostra Nazione, per prima cosa dobbiamo correggere noi stesso. Le istituzioni seguiranno inevitabilmente a ruota.
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La necessità di una cosciente e salda posizione spirituale
C’è chi è convinto che per essere in un cammino spirituale basti credere in Dio, aderire a qualche religione o disciplina quotata come “spirituale“, associarsi ad altre persone allo scopo di condividere le proprie opinioni, informazioni ed esperienze, così da espandere le proprie conoscenze “spirituali“. Se tutto questo non lo si può ritenere completamente errato, almeno lo si dovrebbe considerare abbondantemente incompleto. Come nello studio delle lingue imparare l’alfabeto è il primo passo, conoscere le regole e le strutture grammaticali è fondamentale, ma la pratica è indispensabile, è di tutt’altro ordine e grado.
Se nello studio, come nell’apprendimento di un qualsiasi lavoro, la pratica occupa un posto di particolare rilievo, esattamente come l’acqua per chi desidera imparare a nuotare, nella via spirituale quella stessa pratica richiede anche un atteggiamento speciale: “avere le mani nella società mantenendo la testa nella foresta“. In altri termini, se si considera la spiritualità puramente un insieme di riti, preghiere, mantra, canti e servizio, il tutto condito con l’erudizione, la stiamo declassando. Nella via spirituale tutto quello che si studia deve favorire la pratica, la quale non deve limitarsi ad apportare solo positivi cambiamenti esteriori, a livello culturale e comportamentale, bensì deve operare una individuale trasformazione interiore, deve consapevolizzarci della nostra divinità interiore.
L’unico modo per avanzare nella via spirituale è l’analisi di quanto emerge e sostiene la pratica stessa. Comprendere cosa le funge da supporto – se è reale o non-reale, sostanziale od effimero – e come trascendere tale supporto è la base del “conosci te stesso“. Condizione questa indispensabile per giungere a Quello, a Colui al quale non si possono dare definizioni, attributi o attribuzioni.
Nel contesto dell’etica yogica, Patanjali, nel suo Yoga Sutra, ci introduce i klesha, le cinque afflizioni che rappresentano le cinque cause della sofferenza terrena:
- avidya – ignoranza o falsa comprensione della vera natura delle cose,
- asmita – coscienza del proprio sé che provoca egoismo,
- raga – attaccamento nei confronti delle idee o degli oggetti,
- dvesha – avversione verso quei pensieri legati a esperienze dolorose vissute nel corso dell’esistenza,
- abhinivesha – attaccamento istintivo alla vita e paura della morte.
La nave in grado di solcare in modo sicuro i klesha, il mare delle afflizioni, sono le ingiunzioni, i cinque yama:
- Ahimsa – Non-violenza,
- Satya – Verità,
- Asteya – Non rubare,
- Bramacharya – Astinenza sessuale,
- Aparigraha – non possedere.
Questi yama, o voti, tutti insieme costituiscono il grande giuramento universale e incondizionato, e non dipendono da classe, luogo, tempo o circostanze. Sono obblighi a cui tutti, in particolare i praticanti, i sadaka, devono attenersi in ogni situazione e circostanza della loro vita, inclusa quella della fase onirica.
Il valore del praticante, inteso come sua crescita interiore, si misura in base all’aderenza all’etica con cui affronta le sfide che la vita gli riserva. Solo mettendosi alla prova si può constatare ed eventualmente intervenire per rafforzare la propria fibra morale.
In merito al primo yama, Taimni, in un commento allo Yoga Sutra, propone una quesito molto interessante su una situazione ovviamente ipotetica: “Dovete andare nell’Artide, ove è necessario per trovare nutrimento uccidere animali. Siete liberi di alterare il voto circa l’ahimsa (non-violenza) nelle circostanze peculiari in cui vi trovate?“
Per rendere il quesito più realistico, pratico e attuale, più vicino a noi e al nostro vivere quotidiano – il “qui e ora” in cui è possibile praticare i precetti spirituali – lo riformuliamo prendendo in prestito, in modo esclusivamente accademico, una situazione che ci riguarda molto da vicino: Zelensky.
Per prima cosa osserviamo attentamente quali reazioni stiamo provando e se queste sono in sintonia con la non-violenza, il precetto a cui dovremmo aderire integralmente. In sintesi, ricordiamo che la non-violenza significa astenersi dal recare danno a chiunque mediante azioni, parole e pensieri. Ricordiamoci che tutti siamo raggi di coscienza della stessa Coscienza.
Immedesimiamoci nella seguente situazione: Zalensky, spinge l’Occidente – in particolare l’Europa, dove già trova un ingiustificato terreno fertile presso le sedi istituzionali e politiche sia europee che italiane – affinché scenda effettivamente in campo a fianco e a sostegno dell’Ucraina nella sua guerra contro la Federazione Russa. Questo perché, a suo dire, se dovesse cadere il suo Paese, o si dovesse arrendere, o peggio, essere conquistato dai Russi, tutti saremo in estremo pericolo. Nota a margine: questo, è quello che alcuni analisti indipendenti definiscono il ricatto Zelensky.
Ora, sulla base di questa ipotetico scenario, riproponiamo in chiave attualizzata il quesito posto da Taimna: in qualità di sadaka, persone in cammino spirituale, come ci dovremmo comportare davanti ad un simile ipotetica situazione? Aderiremo alla guerra, o la favoriremo magari partecipando nelle retrovie, oppure, indipendentemente da quello che ci potrà accadere, ci atterremo fermamente al principio della non-violenza, al voto della ahimsa, ovvero, al non recare danno a chicchessia, né in modo diretto, né indiretto?
Si tenga presente che a libello spirituale il “permesso” di uccidere l’avversario, o nemico, sussiste soltanto quando questi invade, il nostro territorio, il nostro Paese, non quando – con una scusa o l’altra, con un pretesto più o meno elaborato – siano noi ad andare a casa sua, nel suo Paese. Su questo, i Maestri Spirituali, incluso l’Avatar del nostro tempo, sono tutti molto chiari.
Evitando risposte compulsive, politiche, o superficiali, ma soffermandosi ad analizzare più l’aspetto interiore che quello esteriore-mondano, si noterà che, in assenza di un percorso precedentemente maturato, la risposta, qualunque essa sia, non è così scontata.
Questo ci porta a comprendere quanto siano importanti i voti nel cammino spirituale e quanto prima di prenderli ci si debba svincolare dalla contingenza mondana ed emotiva. Il passaggio dal particolare all’universale, come l’avere le mani nella società e la testa nella foresta, richiede un controllo sulla propria mente, non meramente fine a sé stesso, egoistico, bensì finalizzato ad indirizzarla vero i più elevati principi senza mai desistere, deviare, retrocedere o ripiegare. Questo implica impegnarsi a possedere una visione del particolare nell’Universale, del valore di questa attuale vita, nel contesto evolutivo della coscienza del Sé.
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Il dovere di denunciare i crimini all’umanità
Gli Insegnamenti Spirituali si dividono in due principali “categorie“: quelli per la vita quotidiana – che forniscono norme e precetti per vivere in salute ed in armonia con sé stessi, gli altri e la natura – e quelli a carattere filosofico-trascendentale, destinati a coloro che desiderano ardentemente procedere dal particolare all’Universale, per poi fondersi in Dio.
Esattamente come non si può accedere ad una classe superiore senza le necessarie competenze richieste per l’avanzamento, allo stesso modo non è possibile accedere alla seconda “categoria” senza uniformarsi prima, capire e comprendere poi, i dettami della prima “categoria“: l’ABC propedeutico. Verrebbero meno le basi per cogliere l’essenza degli Insegnamenti.
Uniformarsi ai dettami significa praticarli volontariamente al meglio delle proprie capacità, senza adeguarli. Capirli, denota l’intuizione che tali dettami non sono fini a sé stessi o ad aspetti mondani. Sono propedeutici a qualcosa di assai più elevato, a qualcosa che si può e si deve far proprio.
Comprendere è a metà strada fra capire e fare proprio. La fretta di passare dal capire al comprendere non aiuta minimamente. Capire è una fase cruciale. Spiana la strada al comprendere soltanto in presenza di un’effettiva stabilità nelle qualità indicate dalle norme e precetti.
Caliamoci nell’attualità, dato che la spiritualità va praticata nel qui e ora, ovvero, non con la mente rivolta al passato, al futuro o persa nell’emotività,
Diversi devoti di Bhagawan affermano che “Tutto è volontà Sua“, il che equivale al detto “Non si muove foglia che Dio non voglia“. Affermano inoltre che “tutti siamo Uno” e che “tutti sono una manifestazione di Dio“, poiché lo stesso Dio risiede in tutti. Possedendo tutti la scintilla Divina, sono tutti fondamentalmente divini. Poi, parlando di Netanyahu e delle sue azioni contro i Palestinesi inveiscono, contraddicendo tutto quanto precedentemente dichiarato. Anche chi si dichiara Cristiano si trova nella stessa barca, dato che lo stesso Insegnamento di Sri Sathya Sai Baba lo diede pure Gesù: “Qualunque cosa fate anche all’ultimo dei Miei fratelli è come se la faceste a Me!“
Pertanto, criticare, insultare od offendere Netanyahu, Zelensky, o loro affini, equivale a criticare, insultare e offendere Dio stesso. Tuttavia, va osservato che per essere rispettosi dei dettami basilari non è assolutamente necessario concordare con le idee, le azioni, le politiche e la condotta di tali personaggi.
Se da un lato le norme e i precetti invitano a non parlare male di nessuno, mai e in nessuna circostanza, soprattutto in loro assenza, dall’altro esortano esplicitamente a non frequentare cattive compagnie, né supportarle con il silenzio, l’omertà, l’indifferenza.
Pertanto, il devoto, in modo pacato, ha il dovere di denunciare pubblicamente, senza farsi influenzare dall’ira o da altri nefasti sentimenti, i crimini che sta subendo Gaza; ma ha pure l’obbligo di denunciare il proprio Governo, che in tali crimini coopera. La denuncia mai deve offendere la Divinità presente in tali personaggi, che è la stessa presente in tutti.
Tali denunce mai devono alimentare odio o rancori verso qualsiasi popolo. Il ripristino dell’unità deve essere prioritario.. Mai si dovranno vedere nemici, bensì fratelli che, mediante il nostro contributo potrebbero ravvedersi. Noi non sappiamo se quello che accade oggi è un karma che in un passato abbiamo contribuito a formarsi. Certo è che oggi nel scontarlo dovremmo avere l’accortezza di non alimentarne altro.
In questo modo mettiamo in pratica i dettami richiesti dal cammino spirituale, il distacco emotivo in primis, affermando inoltre che tutte le situazioni concorrono al nostro e altrui progresso spirituale.
Praticando, il capire trasla nel comprendere, riducendo la distanza dall’essere l’oggetto dell’Insegnamento stesso: il Dharma.
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No falsità nei propri confronti
Spiritualità è aprire gli occhi dinanzi alla situazione contingente del qui ed ora, non per giustificarla o schizzare per la tangente, armandosi o deprimendosi, bensì per comprendere che tutti ne siamo corresponsabili.
Essere spirituali significa non lasciarsi traviare dagli eventi, ma, prendendo coscienza di tale corresponsabilità, intervenire senza dare o addossarsi colpe. Agire in coerenza con gli Insegnamenti, quelli che le Grandi Anime hanno dimostrato essere talmente efficaci che si preferì non insegnarli sui banchi di scuola.
Nel ‘900, l’impero più potente al mondo perse il subcontinente indiano grazie ad un uomo apparentemente insignificante, la cui arma più potente era la Non-Violenza, ispirata e sostenuta da una fede totale negli Insegnamenti della Bhagavad Gita, verso i quali assunse l’impegno incrollabile di metterli in pratica. Quell’uomo passò alla Storia come il Mahatma Gandhi.
Il solo supporre che noi non potremmo essere altrettanto capaci di emularlo è una grave falsità nei nostri confronti.
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Cosa nascono dalle intenzioni?
Dalle interazioni possono nascere sia le dispute che le buone collaborazioni.
È fondamentale l’intento con cui ognuno le utilizza.Se le alimentiamo con il meglio di noi, con la fiducia in noi stessi e nel prossimo, prospererà sia la pace che l’armonia, diversamente alimenteremo risentimenti e conflitti.
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Yogananda: Dio si è incarnato e vive nel Sud dell’India
Sri Paramahansa Yogananda, in ambiente spirituale, non è certo un personaggio che necessita di presentazioni. Tuttavia è bene ricordare le date del suo soggiorno sulla terra per meglio collocare l’episodio che riportiamo.
Il noto monaco indù nasce il 05 Gennaio 1893, a Gorakhpur, India. Nel 1920, in qualità di delegato indiano al “Congresso dei Religiosi Liberali“, si trasferisce prima a Boston, poi a Los Angeles in cui vi resterà sino al trapasso, avvenuto il 07 Marzo 1952.
La sua missione fu quella di diffondere nel mondo la sacra scienza del Krya Yoga, una particolare forma di yoga reintrodotta in India da Lahiri Mahasaya e che lo stesso Yogananda aveva appreso sia dal suo maestro Swami Sri Yukteswar, allievo di Lahiri Mahasaya, sia dal leggendario santo himalayano Mahavatar Babaji, uno yogi ritenuto immortale e dall’aspetto di un eterno ventisettenne.
Ancora oggi, molti aderenti agli insegnamenti di Sri Paramahansa Yogananda (e non solo) faticano a riconoscere in Sri Sathya Sai Baba l’Incarnazione di Dio stesso. Così facendo dimenticano l’episodio avvenuto poco prima del trapasso della loro guida spirituale. Lo riportiamo al solo scopo di ribadire l’importanza dell’unità delle fedi.
Unità delle fedi, al lato pratico, si traduce semplicemente nel riconoscere che la grandezza di un Maestro non intacca quella di un altro Maestro. Questo perché tutti i veri Maestri sono Uno. Il confronto fra Essi, che appassiona taluni, è dettato dall’ego, nutrito con ignoranza di prim’ordine.
Coloro che sono impegnati in un cammino spirituale dovrebbero essere estranei a tale disdicevole atteggiamento, poiché si auspica abbiano compreso che tutti i Maestri dicono ed affermano le stesse cose, sebbene in modo diverso. Inoltre, pur seguendo il proprio Guru, alcuni Insegnamenti si possono apprendere, approfondire, o chiarire anche grazie ad altri Guru, ovvero, dalle altre sfaccettature dello stesso Essere, Dio – la Meta di tutti gli sforzi nei differenti percorsi spirituale.
Ogni Guru viene per elevare un particolare gruppo di allievi e devoti, e mai costoro Lo sentiranno criticare o disapprovare l’opera di altri veri Maestri Realizzati o dei loro fedeli. Questa loro lezione pratica dovrebbe essere oggetto di riflessione da parte di tutti, indipendentemente dal Maestro seguito.
Questo stesso insegnamento ce l’ho offrì anche Sri Paramahansa Yogananda, anche poco prima che abbandonasse il suo corpo fisico.
Dispiaciuta per l’imminente dipartita del suo Maestro, una delle più strette devote americane gli si avvicinò e gli disse: “Maestro, so che stai per abbandonare il tuo corpo fisico. Devi portarmi con te! Tu sei il mio Dio!“
“Sciocchezze!“, rispose Yogananda ed aggiunse: “Dio è Dio; io sono il tuo Guru“.
La devota replicò: “Maestro, se te ne vai senza di me, mi suiciderò!“
“Basta con queste stupidaggini!“, la riprese Yogananda, “Dio Stesso è ora incarnato sulla Terra, nel Sud dell’India. Il Suo nome è Sai Baba. Quando io me ne andrò, tu andrai a vivere da Lui“.
In seguito quella devota trascorse il resto della propria vita nell’ashram di Sri Sathya Sai Baba.
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Il tempo non esiste, però ha tre tempi!
L’eterno presente contiene il passato e il futuro; sembra una contraddizione, ma è una contraddizione sia sostenerla che negarla.
Gli antichi greci avevano tre definizioni di tempo:
- il tempo atmosferico;
- cronos – il tempo cronologico, il coordinatore di tutto l’universo;
- kairos – il momento, l’istante in cui le cose devono accadere, quello in cui la sequenza si deve concretizzare.
La cronologia degli eventi – la storia – insegna che le stesse azioni portano agli stessi risultati. Stessi risultati, stessi vincoli, ovvero, alternative sprecate o non sfruttate. La storia insegna che non c’è maggiore potere limitante che superi quello auto imposto.
“Il tempo è un bambino che gioca, che muove le pedine; di un bambino è il regno“, questa la riflessione lasciata in eredità dall’oscuro pensatore Eraclito, filosofo greco vissuto circa 2500 anni fa. “Oscuro” poiché egli era conscio che i suoi scritti non potessero essere compresi dalla maggior parte degli uomini; tuttavia, era altrettanto conscio che se non si semina non si raccoglie, che il frutto di domani è il seme di oggi, che non c’è reale differenza tra chi ha seminato ieri e chi raccoglierà anche fra mille anni, poiché medesima è la vera fame dell’uomo: la conoscenza di se stesso.
Da qui si intuisce l’illusione sia del tempo, che delle suddivisioni attribuitegli. La coordinata successione temporale delle azioni, o accadimenti, è propria della Creazione. Il continuo divenire è l’apparente distinzione fra madre e figlia, tra causa ed effetto, tra il risultato che a sua volta è causa di un altro risultato. La ciclicità della similitudine di ogni distinto momento in un continuum armonico senza soluzione di continuità è il connubio di punti di vista laterali in distrazioni a quello centrale.
Ogni singola perla possiede il suo valore, il quale aumentata se raccolta in una collana.
Cronos e Kairos, collana e perle. “Possiedi il filo e tua sarà la collana“, sembra suggerire Eraclito, in perfetta sintonia con i Maestri spirituali. Ma si deve essere bambini, simbolicamente possedere la loro innocenza, la loro semplicità, la loro purezza.Possedere in termini spirituali significa fare proprio, interiorizzare, non essere il posseduto. Non ha parente con il possedere del mondo oggettivo, quell’intreccio che nell’intimo non si districa fra possessore, possedere e posseduto. “Dio non è immerso nell’illusione esteriore né in quella interiore, è privo di ambedue“, ci ricorda Swami in questo PdG. Il filo non è inficiato dal valore conferito alle perle che unisce, metaforicamente la successione degli eventi. Esso è al di là e ogni attribuzione di valore – per quanto generosa – è un deprezzamento.
Cronos e Kairos, il percorso e i suoi passi. Il sommo valore che il filo unisce, relaziona e trascende. Tra la partenza e l’arrivo è il viaggio quello che – nell’immersione della sua sequenza di passi, di vedute, di progressivi cambiamenti esteriori ed interiori – insegna a trascendere ruoli e situazioni inconsistenti per essere.
Cronos, Kairos e il filo – gioco, pedine e il regno è del bambino.
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Il paravento, il maestro ed io
Il maestro mi mostrò il paravento che gli avevano donato.
Lo osservai attentamente. Era molto bello, decorato con le scene più significative della vita del Buddha. Stavo per esprimere il mio apprezzamento su quanto quelle immagini, così vivide, favorissero l’immedesimarsi sul Buddha e i Suoi Insegnamenti.
Ma il maestro mi anticipò, portando quel momento ad un alto livello.
Questo mi insegnò: “I pensieri sono come questo paravento. Non fermarti solo ad osservarlo, guarda cosa cela dietro. Il paravento serve a nascondere qualcosa. Il fatto di giudicarlo bello o brutto, ne è la prova: resti di qua! Questo è il metodo con cui la mente tenta di inibirti a oltrepassarla. I pensieri sono per gli uomini il paravento del proprio dolore. Finché non posi gli occhi su quello che sta dietro, resterai nella convinzione che sia dolore. Questa convinzione è sana finché stai di qua. Appena andrai di là scoprirai che l’inganno risiede di qua!“
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La nascita del Profeta
“Eid Milad un Nabi“, scritto anche come “Mawlid al-Nabi“, è una festività islamica che celebra la nascita del Profeta Maometto. Letteralmente, “Eid Milad un Nabi” significa “la festa della nascita del Profeta“. Quest’anno si celebra tra il 4 e il 5 Settembre, ovvero il 12° giorno del mese islamico di Rabi’ al-Awwal (secondo il calendario lunare islamico).
In molte comunità musulmane la ricorrenza è segnata da preghiere speciali, letture del Corano, recitazioni di poesie religiose e racconti sulla vita del Profeta.
Il Profeta Maometto, Muḥammad in arabo, nasce intorno al 570 dC a La Mecca, una città che si trova al centro di sette colli (ricorda la nostra Roma). Lascia il corpo l’8 Giugno 632 (calendario gregoriano).
Nel 610, Maometto riceve la Rivelazione e sulla base di questa inizia a predicare, dichiarando di essere l’ultimo dei Profeti, la cui Missione è, sostanzialmente, preparare l’umanità alla discesa del Signore stesso.
I suoi insegnamenti, raccolti in 114 “sure – capitoli“, formano il Corano, il Libro Sacro della fede musulmana. Le sure nel Corano non sono organizzate in ordine cronologico di rivelazione, bensì, dalla più lunga alla più breve, salvo alcune eccezioni. Purtroppo, alcune andarono perdute.
Nell’Islam Maometto non è visto come il fondatore di una nuova religione, bensì come l’ultimo e sigillo dei Profeti, colui che ha riaffermato e portato a compimento lo stesso Messaggio eterno rivelato a tutti dai suoi predecessori. Indicandoli come anelli della stessa catena d’oro, il Corano cita:
- Ādam – Adamo – Il primo uomo e il primo Profeta.
- Idrīs – Enoch – Menzionato come un uomo di verità e di pazienza, elevato da Dio a un alto rango.
- Nūḥ – Noè – Invitò il suo popolo, salvato con l’Arca, al monoteismo per centinaia di anni.
- Hūd – Hud – Inviato all’antico popolo arabo degli ʿĀd.
- Ṣāliḥ – Salih – Inviato al popolo dei Thamūd. Il suo miracolo fu la she-cammella.
- Ibrāhīm – Abramo – L'”Amico di Dio” (Khalīlullāh), patriarca del monoteismo e ricostruttore della Ka’ba.
- Lūṭ – Lot – Inviato al popolo di Sodoma. La sua storia è spesso associata a quella di Abramo.
- Ismāʿīl – Ismaele – Figlio di Abramo, associato alla costruzione della Ka’ba alla Mecca.
- Isḥāq – Isacco – Figlio di Abramo, capostipite del popolo di Israele.
- Yaʿqūb – Giacobbe – Figlio di Isacco, anche noto come Israele.
- Yūsuf – Giuseppe – Figlio di Giacobbe. La sua storia è narrata in un’intera sura del Corano.
- Ayyūb – Giobbe – Celebrato per la sua pazienza esemplare di fronte alle avversità.
- Shuʿayb – Ietro (?) – Inviato al popolo di Madyan, li rimproverò per la loro disonestà commerciale.
- Mūsā – Mosè – Colui con cui Dio parlò (Kalīmullāh), ricevitore della Torah (Tawrāt).
- Hārūn – Aronne – Fratello di Mosè, suo assistente e profeta.
- Dhū al-Kifl – Ezechiele? – Figura il cui status di profeta è dibattuto, ma è menzionato tra gli inviati. Il nome significa “Quello della responsabilità”.
- Dāwūd – Davide – Re e profeta, a cui fu dato il libro dei Salmi (Zabūr).
- Sulaymān – Salomone – Figlio di Davide, profeta e re dotato di un regno e di una saggezza immensi.
- Ilyās – Elia – Profeta che lottò contro l’idolatria del popolo di Israele.
- Al-Yasaʿ – Eliseo – Successore di Elia, spesso menzionato dopo di lui nel Corano.
- Yūnus – Giona – Inviato a Ninive. Noto per la storia in cui fu inghiottito dal grande pesce.
- Zakariyyā – Zaccaria – Padre di Yahyā (Giovanni Battista). Custode del Tempio.
- Yahyā – Giovanni Battista – Figlio di Zakariyyā, celebrato per la sua devozione e per aver preparato la via per ʿĪsā (Gesù).
- ʿĪsā – Gesù – Il Messia (Al-Masīḥ), profeta nato miracolosamente dalla vergine Maryam (Maria). Ricevitore del Vangelo (Injīl).
- Muḥammad – Maometto – Il Sigillo dei Profeti (Khātam al-Anbiyā’), l’ultimo e finale Messaggero, inviato per tutta l’umanità.
Il Corano dichiara che Allah, il Misericordioso, inviò Messaggeri a tutte le nazioni, a seconda della necessità di ogni popolo.
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Le cinque Madri
Qual è la grande responsabilità che ogni madre ha nei confronti dei propri figli?
In ambito spirituale qualsiasi aggettivo relativo a tale responsabilità è sostanzialmente fuori luogo, in quanto quello che davvero conta è la consapevolezza del proprio compito.
È vero che anche il figlio deve avere un comportamento nei confronti della propria madre che rifletta lo stesso amore e lo stesso spirito di sacrificio con cui lo ha cresciuto. Ma questo viene in seconda battuta. La prima battuta spetta a lei, la madre. Lei deve essere conscia che è la prima delle cinque Madri che ogni essere umano ha e ogni essere umano deve essere conscio delle sue cinque Madri.
Madre e figlio, da un punto di vista spirituale, sono meri ruoli. Quello che va riconosciuto è che ognuno di noi vive grazie a cinque Madri, cinque sorgenti di vita e di sostegno, che meritano rispetto, gratitudine e venerazione. Esse non sono soltanto simboli, ma realtà concrete che ci accompagnano lungo tutto il cammino dal concreto all’astratto, dal particolare all’universale.
◾ Deha Mata – la madre della nascita.
La prima Madre è colei che ci ha donato il corpo e introdotto nella vita. Dalle sue mani abbiamo ricevuto il primo nutrimento, dal suo sguardo la prima certezza d’amore. In lei si concentrano responsabilità e grazia, poiché attraverso il suo insegnamento il cuore del figlio può aprirsi o meno all’universalità. A lei spetta anche un compito altamente sacro: rivelare al figlio le altre Madri, trasmettere la coscienza di tutte le fonti di vita.◾ Go Mata – la mucca nutrice.
La seconda Madre è la mucca, simbolo della prosperità, della non violenza e della purezza. È la fonte di vita e sostentamento. Il suo valore non è solo materiale, ma anche religioso e morale.◾ Bhu Mata – la Madre Terra
La terza Madre è la Terra, che accoglie i semi e li trasforma in frutti. In silenzio porta peso e fatica, in silenzio genera abbondanza e bellezza. Onorarla significa riconoscere che ogni nostro passo poggia su un suolo sacro. Bhu Mata, o Bhumi Devi, è la personificazione della Terra, simbolo di fertilità, stabilità, nutrimento e pazienza.◾ Desha Mata – la Madrepatria, o terra natia.
La quarta Madre è la Patria, il luogo che ci offre protezione, possibilità di crescere e il dovere di servire. Madre Terra della Nazione. Il rispetto per la propria terra non è solo politico o culturale, ma anche spirituale. Proteggere la Patria è visto come dharma, un dovere sacro. Questa Madre insegna il rispetto per la Nazione, il senso di appartenenza, il dovere di proteggere l’unità, la cultura e l’integrità del Paese.◾ Veda Mata – la Madre del Sacro Sapere
La quinta Madre è il tesoro spirituale dei Veda, la conoscenza nutriente e generativa che illumina e guida. Essa svela il senso della vita e apre il cammino verso la realizzazione del Sé. I Veda – che sono la Voce stessa del Divino – danno la conoscenza che conduce alla liberazione.Afferma Bhagawan nel Suo Discorso Divino del 22 Luglio 1968:
Ognuno deve rispettare le proprie cinque Madri:
- Deha Mata – la madre che vi ha dato la nascita;
- Go Mata – la mucca che dona il latte nutriente;
- Bhu Mata – la terra che fa crescere le colture;
- Desha Mata – la Patria, o Madrepatria, che offre protezione, cura, amore, diritti e opportunità di servire ed elevarsi a grandi altezze; e
- Veda Mata – il tesoro spirituale che rivela lo scopo della vita e vi conduce alla Realizzazione del Sè.
Deha Mata, la madre che vi ha dato la nascita, deve rivelare al figlio le Glorie di tutte le altre; la sua responsabilità è dunque la più grande e la più cruciale.
Sì, è la più grande e la più cruciale delle responsabilità, perché i figli crescono e saranno loro a dover portare avanti il Paese e trasmettere tali insegnamenti ai loro figli.
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Satsang: diverse modalità, lo stesso fine
Il termine satsang definisce un gruppo di persone che tramite il dialogo, l’ascolto, la riflessione e la meditazione si pongono come obiettivo il raggiungimento della Realtà, ovvero la Verità. Ne consegue che esistono diverse modalità per impostare un satsang. Tuttavia queste non devono alterarne la sua finalità.
In linea di massima e senza presunzione di esaustività, i satsang si possono tenere in due principali modalità, che per comodità definiremo: stile “conferenza” e stile “circolo di studio“. La scelta di una o dell’altra modalità è dettata da questioni operative, o specifiche esigenze. In ogni caso non alterano il loro obiettivo fondamentale, ovvero, sperimentare l’Unità del Sé.
Nella modalità stile “conferenza” la parola viene presa da una o da poche persone, mentre tutte le altre ascoltano. In alcuni casi, alla fine degli interventi, è possibile sottoporre delle domande di approfondimento, mentre in altri casi questo momento non è previsto o non è fattibile.
Nella modalità stile “Circoli di Studio” (CdS), invece, i partecipanti si dispongono in cerchio e di norma intervengono a turno rotatorio sul tema oggetto dell’incontro, esponendo le proprie riflessioni in modo sintetico, chiaro e il più distaccato possibile, ovvero in modo meno coinvolto possibile.
Gli incontri stile CdS possono essere attuati in due modalità, che per pura comodità definiamo: “formale” e “fraterna“
Nella modalità “formale” ogni partecipante interviene evitando di relazionarsi con gli altri. In sostanza ognuno da’ il suo contributo quando chiamato e raccoglie dal gruppo quanto necessita senza chiedere approfondimenti.
Nella modalità “fraterna“, invece, l’interazione con gli altri è auspicabile a patto che sia scevra da giudizi, prevaricazioni e contestazioni. Questa soluzione spinge il partecipante a mettersi in gioco in modo più profondo. Qui si cerca di toccare quell’aspetto unitario e solidale caratteristico dei gruppi affiatati, dei commilitoni, degli alpinisti in cordata. Questa soluzione fa emergere maggiormente la consapevolezza che il bene proprio, al pari del bene dell’altro, sono interdipendente in modo diretto e mutuo al bene comune. In questa modalità il dialogo è più enfatizzato rispetto a quella “formale“.
Questa pratica spirituale, indipendentemente dalla impostazioni stile “conferenza” o “CdS” e relative modalità, assicura matematici benefici ai suoi costanti aderenti che si approcciano praticando l’ascolto, la riflessione e la meditazione.
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Concentrazione e meditazione
Si calcola che ogni giorno una persona elabori un susseguirsi di 60-80 mila pensieri di cui non è consapevole. In questa avidya, nasce, cresce e si diffonde la sofferenza.
Si può affermare che la vita senza la consapevolezza di averla vissuta equivale a vita “non vissuta“. Gli studiosi di scienze cognitive ci informano che sono parecchie le decine di migliaia di pensieri quotidiani che ospitiamo nella nostra mente senza rendercene conto; pensieri che, nonostante ignoriamo la qualità, concorrono a crearne di nuovi, che intervengono nei nostri ragionamenti, che sono presenti nelle nostre valutazioni e nelle nostre decisioni. Pensieri che, essendo noi all’oscuro di possedere e di interagire, non li relazioniamo con gli effetti che apportano, siano questi favorevoli o avversi. Per sottolineare la centralità della mente nella qualità della vita di una persona, riportiamo in fondo all’articolo il PdG del 26 Giugno 2022 di Bhagawan.
L’economista, psicologo ed informatico statunitense, nonché premio Turing e Nobel, Herbert Simon ci ha permesso, mediante una sua celebre analisi sull’informazione, di rivalutarla sia dalla prospettiva del fornitore, che di quella dell’utilizzatore.
Afferma il dr. Simon: “Ciò che l’informazione consuma è abbastanza ovvio: consuma l’attenzione dei suoi destinatari. Quindi una ricchezza di informazioni crea una povertà di attenzione ed un bisogno di distribuire quell’attenzione in modo efficiente tra la sovrabbondanza di fonti di informazioni che potrebbero consumarla“.
Tirando le somme: DISTRAZIONE = PERDITA DI TEMPO e SPRECO DI ENERGIE.L’unica strada percorribile per vivere la vita nella sua interezza è adottare un appropriato stile di vita che riorganizzi, almeno in un primo momento, le attuali abitudini e che favorisca la concentrazione. A tale fine, più in basso, si propongono 5 suggerimenti per ridurre le distrazioni, sette abitudini da abbandonare (possibilmente con estrema urgenza) e una abitudine da far crescere.
Il “qui ed ora” è la vita stessa. Il Buddha ci fornisce una indicazione per sperimentare quello che a parole non si può né spiegare, né completamente comprendere: “Il segreto della salute fisica e mentale non sta nel lamentarsi del passato o preoccuparsi del futuro, bensì nel vivere il momento presente con saggezza e serietà“.
La concentrazione non è un metodo di rilassamento, anche se utilizza il rilassamento per acquietare corpo e sensi. Per mezzo della concentrazione si arriva alla meditazione passando per la contemplazione, termine questo di cui si dovrebbe apprezzare il diverso significato fra Occidente ed Oriente.
Pertanto, è fondamentale che ognuno trovi da sé le motivazioni e i benefici, sia in ordine mondano che spirituale, sul perché dovrebbe praticare la meditazione con costanza quotidiana. Tale conquista lo renderà immune dalle dicerie altrui.
◼️ Pensiero del Giorno del 26 Giugno 2022
È la mente che forma o rovina una persona. Se è immersa nelle cose del mondo, conduce alla schiavitù; se tratta il mondo come temporaneo, allora con il distacco diventa libera e leggera.
Allenate la mente a non sentirsi attaccata alle cose che cambiano in meglio o in peggio. Non tenete davanti a voi gli orpelli della fama e delle ricchezze mondane; attirate la mente verso gioie durature che scaturiscono dalle sorgenti dentro di voi. Questo porterà grandi ricompense. La mente stessa diventerà quindi il guru, perché vi condurrà sempre più avanti una volta assaporate le dolcezze dell’ascolto, del ricapitolare e della meditazione costante e continuata.
È la mente che conferisce alla figura creata dal ceramista la Divinità che il devoto vede in essa; è la mente che riempie la stanza del santuario con la fragranza della santità.
— Discorso Divino del 24 Marzo 1958
◼️ RIDUZIONE DELLE DISTRAZIONI – suggerimenti
- Eliminare dalla propria area operativa tutte le fonti di distrazioni
Es: se si cucina, spegnere la TV – sconnettersi o silenziare i servizi social – non tenere riviste bagno – non usare troppi post-it – sulla scrivania che trovino posto solo lo stretto occorrente per quel specifico lavoro, etc. - Impegnarsi a svolgere un solo compito alla volta aumentando la consapevolezza del qui ed ora
Es: nei lavori ripetitivi non lasciare divagare la mente, soprattutto nel passato o nel futuro, o in altri lavori. - Pianificare delle pause per le distrazioni indomabili – l’obiettivo resta comunque quello di ridurle;
Es: abituiamo gradualmente la mente alla disciplina evitando di essere tragici. Concediamole alcuni svaghi a cui è abituata limitandole progressivamente il tempo e smorzando l’interesse. Non rendiamocela nemica, sarebbe un grosso errore. - Stabilire un’importanza e una tempistica su cosa ascoltare e guardare
Es: è risaputo che alcune musiche, come alcuni programmi, nella loro costate ossessività favoriscono stati d’ansia, irrequietezza e vizi. Altri, per mezzo del divertimento e del carisma, veicolano messaggi tendenziosi, poco rispettosi della propria individualità, falsi, indecenti, contrari alle leggi divine. Eliminarli senza alcuna titubanza. - Impegnarsi ad amare il silenzio – soprattutto interiore
È qui, superato l’iniziale imbarazzo psicologico, che si può ascoltare la Voce di Dio.
◼️ SETTE ABITUDINI DA ABBANDONARE
- Dubitare di sé stessi
- Pensiero negativo
- Dialogo negativo con sé stessi
- Compiacere gli altri
- Criticare gli altri
- Paura del fallimento o del successo
- Procrastinare
◼️ UNA ABITUDINE DA FAR CRESCERE
- Guardarsi dentro con amore e rispetto.
- Eliminare dalla propria area operativa tutte le fonti di distrazioni
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Una cura in quattro rimedi
Iniziò a studiare filosofia da ragazzino. All’epoca, siamo nella Grecia del IV-III secolo a.C., il termine “filosofia” era pregno di un significato profondo, di un impegno verso sé stessi e la società, intesa come qualcosa che supera le barriere spazio-temporali. Oggi questo significato, questo senso di impegno-dovere, si è impoverito e decurtato. Non è più considerato essenziale. La filosofia oggi, salvo rare eccezioni, è un termine che si è svuotato del suo intrinseco valore.
Da allora ad oggi in comune resta solo il mero retaggio formale del termine: amore per la sapienza, o amore per la saggezza. Nel mezzo, secolo dopo secolo, il termine di derivazione greca (ϕιλοσοϕία) perse il suo tratto distintivo, rimpiazzandolo con surrogati che avallassero le varie ideologie che le impellenti contingenze politiche e militari partorivano nell’intento di assicurarsi i loro obiettivi economici e territoriali.
Non si può spiegare a parole l’anima di certi termine. Questa anima può essere intuita solamente frequentando chi vive in simbiosi con essa, chi e si prefigge di scoprirla senza risparmiarsi. Non ci sono alternative, che non siano, appunto, svilenti surrogati.
Epicuro, importante filosofo greco (341 a.C. – 270 a.C), iniziò a studiare filosofia e a viverla dall’età di 14 anni. A suo dire, lo scopo della vita è il raggiungimento della felicità, la quale si ottiene attraverso il piacere – definito come assenza di dolore fisico (aponia), o edonismo non sfrenato – e l’assenza di turbamento dell’anima (atarassia), ovvero, l’indifferente serenità del saggio che, raggiunto il dominio sulle proprie passioni, è imperturbabile di fronte alle vicende del mondo.
Epicuro classificò i desideri in tre categorie:
- naturali, come il cibo, l’acqua, e un rifugio;
- naturali ma non necessari, come il lusso o i piaceri raffinati;
- non naturali e non necessari, come il desiderio di potere o ricchezza.
Pertanto, il piacere – quale mezzo per raggiungere la felicità, scopo della vita – non consiste nell’accumulo di beni materiali o nel soddisfacimento illimitato dei desideri, bensì nella moderazione e nella saggezza.
Nella sua visione, la filosofia è uno strumento per liberare l’uomo dalle paure, come quella della morte e degli Dèi. Questo lo portò a suggerire una “cura in quattro rimedi“, il famoso tetrafarmaco:
• Non temere gli Dèi.
• Non temere la morte.
• Il bene è facile da ottenere.
• Il male è facile da sopportare.Analizzando questi punti, andando oltre la formale apparenza, lo spaccato che ne deriva è un insegnamento molto profondo, valido in ogni epoca e luogo.
Per garantirsi una vita felice, l’uomo dovrebbe soddisfare solo i desideri naturali e necessari. Questo implica che egli lavori su sé stesso, al fine di rimuovere le stratificazione dovute ai “luoghi comuni“, che lo inganna e lo imprigiona; come ad esempio la riprova sociale.
A tale scopo, necessita di una “Stella Polare“, la quale non può essere un’autorità, spesso priva di autorevolezza. É l’autorevolezza a dare luogo all’autorità, proprio come un fiore diffonde la fragranza. Quando l’autorità assume carattere impositivo perde l’autorevolezza. Non è il profumo a creare il fiore. Come conseguenza, la consapevolezza trasla dalla Luce all’ombra.
L’ombra, l’ignoranza, è figlia dell’ostacolo. Per rimuoverlo, un mezzo efficace, è l’auto-indagine, il guardarsi dentro. L’uomo deve interrogarsi profondamente sul perché ha paura degli Dèi, (l’oggetto della paura), e scoprire se in verità teme maggiormente i Loro “amministratori” (i creatori della paura).
Nella via spirituale la disciplina è l’autorità che, senza coercizione, instrada il praticante verso l’essenza, dall’ombra alla Luce. In tale tragitto, uno stadio fondamentale è il “filosofo-re“, l’autorevole che, attraverso la saggezza e la virtù non imposta, ispira e guida gli altri: servizio altruistico.
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Riflessioni sul PdG del 31 Luglio 2022
Il PdG del 31 Luglio 2022 (riportato in basso) ci parla di una spiritualità i cui effetti si devono apprezzare anche nelle relazioni sociali, educative, economiche, professionali e giuridiche. Tutte cose appannaggio della politica. In altre parole, mediante Prema si deve procedere a riformare la politica, da quella locale a quella internazionale, partendo dal suo fulcro: l’individuo.
A mio modo di intendere, questo è un invito a riflettere profondamente su molti aspetti delle attuali politiche e concetti che queste partoriscono, al fine di comprendere i potenziali aggiustamenti senza cedere alle lusinghe ingannevoli del giudizio, della contrapposizione e della rivalità.
Quando parliamo di unità, sempre a mio avviso, dovremmo intendere una distanza pari a zero anche con le persone che vivono dall’altra parte del mondo rispetto a noi. Dovremmo preferire la valutazione al giudizio, il confronto unificatore alla contrapposizione e la disponibilità alla rivalità. Le ragioni che favoriscono fazioni difettano di levatura.
Per arrivare qui, come lo ribadisce anche la psicologia, tre passi sono improcrastinabili: guardare quello che siamo, non creare conflitti per quello che rileviamo (accettarsi senza riserva), cambiare progressivamente poco alla volta.
Non possiamo sostenere che siamo tutti UNO rifiutando di sentirci corresponsabili di quello che accade di positivo o di negativo intorno a noi. È mediante il senso di corresponsabilità – non di colpa – che elevando sé stessi si contribuisce ad elevare la vibrazione dell’Universo. Questo è il Principio di Unità promulgato da tutti i Maestri Spirituali. Bhagawan sintetizza questo principio con un chiaro esempio: quando duole il piccolo mignolo del piede, tutto il corpo ne risente, tutto il corpo partecipa a quella sofferenza.
PdG del 31/07/2022
Prema (Amore) deve trasformare tutte le relazioni: sociali, economiche, educative, professionali, familiari, religiose, giuridiche ed etc. Il padre deve amare il figlio un po’ più intensamente ed intelligentemente; la madre deve diffondere l’amore a tutti coloro che si trovano nella sua sfera di influenza; i figli devono amare i domestici. Il senso di uguaglianza secondo cui ciascuno è il depositario dell’essenza divina deve trasmutare il comportamento sociale e individuale!
Potete chiamarMi “Incarnazione dell’Amore Divino” (Premaswarupa)! Non vi sbaglierete! Prema è la ricchezza che possiedo e che spargo tra i bisognosi e gli afflitti. Non ho altre ricchezze. La Grazia del Signore è sempre fluente come la corrente elettrica attraverso il filo. Installate una lampadina e la corrente – a seconda della sua potenza (espressa in Watt) – illuminerà la vostra dimora! La lampadina rappresenta gli esercizi spirituali che fate, la dimora è il vostro cuore.
Venite a Me con gioia; tuffatevi nel mare e scopritene la profondità; non serve a nulla immergersi vicino alla riva e giurare che il mare è poco profondo e non possiede perle. Immergetevi in profondità e vi garantirete il vostro desiderio!
— Sathya Sai Baba, DD del 22 Luglio 1958
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100 Giorni al Centenario
100 Giorni al Centenario
Come ci presentiamo al Centenario?Oggi, 16 Agosto 2025, mancano esattamente 100 giorni al Centenario dell’Avvento di Sri Sathya Sai Baba, la seconda delle tre Manifestazioni del Principio di Shiva.
A differenza della prima Manifestazione, la cui fama rimase fortemente circoscritta per diversi decenni, la notorietà di Sri Sathya Sai Baba raggiunse ogni angolo del pianeta. A partire da quel 20 Ottobre 1940, in cui dichiarò di essere la reincarnazione di Sai Baba di Shirdi e di avere una Missione da portare avanti, progressivamente sempre più persone sentirono parlare di Lui.
Il prossimo 23 Novembre ricorre il Centenario del Suo Avvento. I Suoi devoti stanno organizzando grandi festeggiamenti.
Un proverbio medioevale italiano affermava: alla festa si va con il vestito elegante acquistato con il sudore della propria fronte.
Questi preparativi rischiano di farci dimenticare lo scopo primario, ribadito dalla seguente domanda. Come ci presentiamo all’appuntamento: ognuno per conto proprio, in vari e distinti gruppetti, o tutti insieme, simboleggiando l’Unità tanto predicata dal Maestro?
Qualsiasi devoto di Sri Sathya Sai Baba dovrebbe porsela e impegnarsi a darle una risposta mediante attenta, sincera e profonda auto-indagine; alzando il più possibile l’asticella della propria onestà interiore, proprio come il cammino spirituale richiede. Tale risposta evidenzierà la priorità concessa all’essenza degli Insegnamenti di Swami.
Quello dell’unità è un “esame” inevitabile nel percorso verso la Meta. Molti hanno solo una vaga idea teorica di quello che esso comporta. Pur non essendo possibile spiegarlo a parole, è possibile fornire indicazioni su cui l’interessato potrà meditare e praticare.
Non si è in unità quando si è insieme ad amici, parenti o devoti dello stesso rione. Questa condizione si chiama gruppo, il quale può favorire una sorta di spirito di cameratismo, che però resta circoscritto al medesimo gruppo, oppure esteso ad altri della federata. Ma cosa succede quando ci rapportarci, con chi è esterno alla nostra cerchia e ha idee ed atteggiamenti a noi opposti? Esagerando, ci sentiremo ancora in unità in un covo di vipere?
Si è in unità quando non è più necessario ricorrere ad alcuna mondana educazione, o richiamare alcun Insegnamento spirituale. Quando, oltre al livello intellettuale e spirituale, si ha superato anche il concetto stesso di unità. Si è. Parlare di “onde” e del “mare” che le sostiene perde significato, al pari di definire quello stato Realtà. Il “mare” è. Non c’è un secondo che lo possa identificare, immaginare o chiamare.
I devoti si raggruppano in quattro categorie: quelli che necessitano di un Maestro fisico, quelli che lo cercano in un surrogato, quelli che si legano ad un luogo fisico e quelli impegnati a realizzare l’essenza degli Insegnamenti.
Le prime e tre categorie, anche se in modo non plateale, saranno sempre in lotta fra loro per qualche riconoscimento. Sono come il bambino che afferma:”La mia mamma è la più bella“. Non può ammettere che anche le altre mamme sono belle, ne va della sua auto-stima e del rapporto con sua madre. La quarta categoria, invece, medita sullo spirito di unità che soggiace e lega tutti gli essere animati e non, indipendente dalla loro collocazione spaziale.
Quelli delle prime tre categorie hanno un Maestro, o un luogo che glielo ricorda, ma di fatto ancora non credo realmente in Lui. Lo utilizzano come rassicurante supporto, come il bambino che pretende la luce accesa per scacciare la paura. Non sfrutta ancora la luce per elevarsi.
Cento giorni al Centenario. Quante appaganti congetture si lasceranno cadere per viaggiare leggeri e giungere all’appuntamento con una maggiore consapevolezza di cos’è l’Unità?
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Qualcosa su Ferragosto
Ferragosto è una Festività principalmente italiana e ha origini antiche. Il termine deriva dal latino “Feriae Augusti“, che significa “ferie di Augusto”, ovvero di Gaius Octavius che le istituì nel 18 a.C. Durante questo periodo estivo si celebrano due momenti solenni: l’assunzione al potere di Augusto e il raccolto agricolo del mese di Agosto.
All’epoca, potere e raccolto era un binomio importante, avevano un legame inscindibile e consequenziale. Sebbene anche allora la politica soffrisse di corruzione e favoritismo, questi venivano fortemente limitati quando si trattava di Madre Terra, la dispensatrice del raccolto da cui tutta la gerarchi dipende e interagisce in un tutt’uno. Tutti sapevano che le divinità erano tolleranti, ma non amavano le esagerazioni.
Augusto – concordano gli storici – non fa altro che ravvivare l’aspetto tradizionalistico-rituale – i Romani già praticavano la venerazione degli dei e degli spiriti degli antenati mediante rituali e processioni – portandolo ad un livello più religioso e partecipato. Anche il binomio “politica-raccolto” andrebbe inteso sotto quest’ottica.
Il 15 Agosto era una data significativa anche per i Celti: era nota come Lughnasadh o Lammas. Infatti, segnava il raccolto estivo, ed era associata a celebrazioni connesse alla Natura e al ciclo agricolo.
Con il passare dei secoli, questa festività perse molto del suo aspetto religioso, pur mantenendo quello più mondano, ovvero il suo carattere di pausa estiva e ciclo agricolo.
Con il Cristianesimo si ripristina la forte connessione con la Religione. Papa Alessandro VI, siamo nel 15° secolo, lega la data del 15 Agosto alla Festa dell’Assunzione di Maria, una fra le feste importante per la Religione Cristiana. La scelta operata dal papa è una scelta più strategica e politica che religiosa-spirituale. Infatti, era suo obiettivo sovrapporsi e cristianizzare le festività preesistenti al fine di facilitare la conversione delle persone pur concedendo loro di mantenere alcuni aspetti delle loro tradizioni. Questa pratica di adattamento delle feste pagane al calendario cristiano sarà un approccio ricorrente nella storia della cristianità.
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Buon Ferragosto
Non rendete Dio moderno per adattarLo ai vostri capricci. Egli non è né antico né moderno; il Suo volto non cambia mai, né la Sua Gloria. PresentateLo, se proprio dovete, in maniera moderna, in uno stile moderno, affinché possa essere compreso oggi.
— Sri Sathya Sai Baba —
BUON FERRAGOSTO
dal team del PdG -
L’importanza del soffermarsi
Molto spesso, quando non si ottiene quello che si desidera, ci si lamenta, si giudica e ci si arrabbia; a volte si cade anche in uno stato di ansia e depressione più o meno accentuata.
In quel momento, invece di abbandonarsi alle più svariate sfumature emotive, sarebbe preferibile provare a tenere salde le redini della mente e porsi una semplice domanda: Cosa mi aspetto da queste reazioni, da questo comportamento?
Soffermarsi sul perché della reazione emotiva è molto importante: evita situazioni spiacevoli, riduce il senso di inadeguatezza e di impotenza; inoltre alleggerisce il carico emotivo, quello che offusca la mente ed alimenta pensieri negativi.
Impegnarsi a soffermarsi è un buon esercizio di autocontrollo, riassume il famoso detto “prima di arrabbiarti conta fino a dieci, chiediti perché vorresti perdere la lucidità e poi ricomincia la procedura d’accapo“.
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Non pregare per…
Non pregare perché l’acqua spenga il fuoco o perché il bene vinca sul male. Prega affinché tutti realizzino l’Unità.
— Insegnamento Zen —
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Dimenticando il Dio…
Dimenticando il Dio, che è a loro più vicino e intimo, le persone provano a cercare un Dio invisibile altrove.
— Sathya Sai Baba
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Raksha Bandhan – Come si svolge
Il rito del Raksha Bandhan prevede sei passi:
1- la preparazione del thali
La sorella prepara per il fratello, biologico o adottivo, un piccolo vassoio (thali) decorato con:- la rakhi (il filo o braccialetto);
- un diya (piccola lampada a olio) acceso;
- kumkum (polvere rossa) o roli per il tilak sulla fronte;
- chicchi di riso (akshat)
- dolci tradizionali (mithai)
2- Cerimonia del tilak
Il fratello si siede di fronte alla sorella. Lei gli applica sulla fronte il tilak (un segno) con il kumkum e vi pone sopra alcuni chicchi di riso, simbolo di prosperità.3- Legatura della rakhi
La sorella procede legando la rakhi al polso destro del fratello, recitando o pensando preghiere per la sua salute, felicità e protezione.4- Offerta di dolci
Sempre la sorella offre al fratello un dolce, il quale lo accetta, e spesso ricambiandolo con lo stesso gesto.5- Dono del fratello
Il fratello, come segno del suo impegno a proteggerla, le dona un regalo, che può essere denaro, abiti, gioielli o altro.6- Momento conviviale
La famiglia festeggia insieme, spesso con un pasto speciale e musica.Sebbene al presente i tempi sono cambiati e le famiglie si ritrovano sparse in città e Paesi diversi, l’essenza, ossia lo spirito di questa tradizione rimane immutato. Proprio a causa della distanza e dell’impossibilità di riunirsi nello stesso luogo, questo rito viene celebrata oggi anche in videochiamata e il rakhi inviato per posta.
Può far strano, a quanlcuno, che questo rito si possa celebrare a distanza, magari prioprio in videochiamata.
Ebbene, si tenga presente che lo scopo del rito non è la fisicità dei partecipanti, bensì stipulare (iniziare), rinnovare e rafforzare una sorta di “patto sacro“.
Ad esempio, cosa legava Rani Karnavati e l’imperatore Humayun, citati nel post precedente?
Rani Karnavati, di fede induista, era la regina vedova del Principato di Mewar, nel Rajasthan, che stava per essere invaso dall’esercito del sultano Bahadur Shah del Gujarat (1535). La regina era consapevole che il suo esercito non poteva resistere a lungo, così decise di chiedere aiuto all’imperatore Mughal Humayun, di fede musulmana.
Inviò via emissario a Humayun una rakhi, un braccialetto cerimoniale del Raksha Bandhan. Questo atto trasformava la richiesta di soccorso in un vincolo personale e sacro. Dal momento in cui un uomo accetta una rakhi, egli si impegna moralmente a proteggere la “sorella” che gliel’ha inviata, indipendentemente dalle differenze religiose o alleanze politiche.
Questo ci dimostra che lo scopo del Raksha Bandhan è l’essenza, non la semplice vicinanza fisica.
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Raksha Bandhan

Raksha Bandhan è una festività tradizionale indiana celebrata principalmente tra fratelli e sorelle. Simboleggia protezione, affetto e legame familiare. Il nome deriva dal sanscrito: raksha (protezione) e bandhan (legame o vincolo).
Durante la cerimonia, la sorella lega al polso del fratello un filo o braccialetto decorato chiamato rakhi, pregando per la sua salute e felicità. In cambio, il fratello promette di proteggerla e spesso le offre un dono.
Questa festività si celebra ogni anno nel mese di Shravana del calendario lunare hindu, che corrisponde solitamente ad Agosto secondo il calendario Gregoriano.
Sebbene la centralità del legame è tra fratelli e sorelle biologici, oggi, come in passato, può essere estesa anche ad amici o persone considerate come fratelli e sorelle “di cuore“.
Le origini mitologiche del Raksha Bandhan derivano da varie leggende che popolano la tradizione hindu, ognuna delle quali mette in luce l’idea di protezione e affetto fraterno. Fra le tante, ne citiamo tre, quelle maggiormente famose.
Krishna e Draupadi
Secondo il Mahabharata, durante una battaglia, il Signore Krishna si ferì al dito. Draupadi, moglie dei Pandava, strappò un pezzo del suo sari e lo avvolse intorno alla ferita per fermare il sangue. Krishna, commosso dal gesto, promise di proteggerla in ogni circostanza. Più tardi, quando Draupadi venne umiliata pubblicamente, Krishna la salvò miracolosamente.Indra e Indrani.
Nel Bhavishya Purana, il Dio Indra combatteva una guerra contro i demoni. Sua moglie Indrani preparò un raksha sutra (filo protettivo) e lo legò al polso del marito, conferendoGli forza e protezione. A seguito di questo gesto, Indra vinse la battaglia.Rani Karnavati e l’imperatore Humayun.
In questo episodio storico popolare, Rani Karnavati del Rajasthan inviò una rakhi (braccialetto cerimoniale tipico del Raksha Bandhan) all’imperatore Mughal Humayun chiedendogli protezione contro un invasore. Humayun, rispettando il vincolo, marciò per difenderla, anche se arrivò troppo tardi per salvarla.Queste leggende rappresentative sottolineano e contemplano due fondamentali aspetti: il legame – che “vive” se c’è una sorta di “dare” e “avere“, o più precisamente un reciproco “donarsi” – e la volontà di occuparsi del benessere della controparte al meglio delle proprie possibilità. Ad un livello più profondo, quella che si definisce “controparte” altro non è che l’unità nella diversità.
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I 10 Comandamenti
Di seguito i Dieci Comandamenti, o Decalogo secondo la tradizione ebraico-cristiana, come riportati nella Bibbia – Esodo 20:1-17 e Deuteronomio 5:6-21. Esistono leggere variazioni tra le versioni ebraica, cattolica e protestante.
Versione ebraica
- Io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa della schiavitù.
- Non avrai altri dèi davanti a Me. Non ti farai scultura, né immagine alcuna […]; non ti prostrerai davanti a loro […].
- Non pronunciare il Nome del Signore tuo Dio invano.
- Ricordati del giorno di Shabbat per santificarlo.
- Onora tuo padre e tua madre.
- Non uccidere.
- Non commettere adulterio.
- Non rubare.
- Non rendere falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
- Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo.
Versione cattolica
- Io sono il Signore tuo Dio: non avrai altro Dio all’infuori di me.
- Non nominare il nome di Dio invano.
- Ricordati di santificare le feste.
- Onora il padre e la madre.
- Non uccidere.
- Non commettere adulterio.
- Non rubare.
- Non dire falsa testimonianza.
- Non desiderare la donna d’altri.
- Non desiderare la roba d’altri.
Versione protestante- Io sono il Signore tuo Dio; non avrai altri dèi davanti a me.
- Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono nei cieli, sulla terra o nelle acque; non ti prostrare davanti a loro né servirli.
- Non usare il nome del Signore tuo Dio invano.
- Ricordati del giorno di sabato per santificarlo.
- Onora tuo padre e tua madre.
- Non uccidere.
- Non commettere adulterio.
- Non rubare.
- Non dire falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
- Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che appartenga al tuo prossimo.
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Dio è Unità

Non siamo antisemita! Non odiamo nessuno per principio. Seguiamo l’insegnamento: odia il peccato, non il peccatore.
Però, concordiamo appieno, sebbene con meno foga, con il Mosè qui raffigurato.
Dio, se vuole, può certamente elevare un popolo al di sopra degli altri, tuttavia, non lo autorizzerebbe a sterminarne gli altri popoli, ad affamare e uccidere altri Suoi figli. Soprattutto, quando quel popolo che si mette a ferro e fuoco, da un punto di vista storico, ospita l’aggressore da svariati secoli. Dio, fra le varie cose, insegna pure la gratitudine.
Quando Mosè liberò il popolo Ebraico, fu risoluto, ma mai aggressivo. Mai mise sotto assedio l’Egitto, né lo maledisse.
Come suggerisce Bhagawan, preghiamo per il bene dell’intero universo, non per una sua frazione. Preghiamo per Amore della preghiera in sé.
Preghiamo in gruppo, in collettività, e chi può si unisca al canto comunitario del Gayatri Mantra. -
I punti di vista
I punti di vista non sono la Realtà. Quando si sostituiscono alla Realtà, o si impongono come realtà, si compie deliberatamente un inganno, si esercita una violenza.
I punti di vista descrivono una verità parziale e relativa, impregnata da impressioni frutto del proprio vissuto ed interessi, i quali sono vincolati da fattori culturali, ambientali, obiettivi, schemi mentali, etc.
Il punto di vista, rispetto alla Realtà, è sempre limitato, è una sua frazione. Per questo è importante condividerli con la consapevolezza che sono parziali, che non hanno maggiore valore degli altri, nemmeno quando, in un dato momento, potrebbero risultare più utili.
I punti di vista andrebbero condivisi con la volontà di superarli, di svicolarsi dalla loro attrattiva. Dovrebbero essere intesi come i passi di un viaggio liberatore per uscire dalla cella carceraria.
Quando i punti di vista determinano la realtà che si preferisce vedere, o si è indotti ad accettare, si rafforza in noi l’ignoranza e l’illusione.
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Un uomo che…
Un uomo che non mette in pratica ciò che predica fa perdere tempo agli altri.
— Sri Sathya Sai Baba —
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Sempre più persone cercano

Sempre più persone iniziano a condividere nei social frasi simili a quella nell’immagine.
Sono tutte persone che, pur brancolando nel buio e con tutte le difficoltà che ciò comporta, inesorabilmente si stanno avvicinando a Baba.
Saranno tutte persone che non accetteranno più né amministratori della Verità, né intermediari fra loro e la Verità.
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Bhagawan a la Madrepatria
Pochi giorni fa, il 01 Agosto, i membri del Consiglio di Amministrazione dello Sri Sathya Sai Central Trust, si sono recati dal Primo Ministro Indiano, Sri Narendra Modi, per invitarlo formalmente ai festeggiamenti relativi al centenario dell’Avvento di Sri Sathya Sai Baba. Nella mezz’ora che si sono intrattenuti, Sri Narendra Modi ha ricordato i momenti memorabili trascorsi con Bhagawan.
Il giorno successivo, il 02 Agosto, il PdG riportava un estratto del Discorso Divino che Bhagawan tenne sessata anni fa, il 02 Ottobre 1965, nel quale esortava gli indiani a sforzarsi di “rendere l’India forte e felice, affinché non sia un peso per gli altri Paesi, o addirittura una tentazione“. Sottolineando poi che “un tempo” – l’India – “fu il Guru dell’umanità. Permettetele di assumere nuovamente quel ruolo“.
Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump – mediante pressioni politiche aggressive e dazi – pretende che l’India esca dai BRICS e si allontani politicamente e commercialmente dalla Federazione Russa. In data 02 Agosto, nel pieno rispetto dei Valori propri dell’India, che Baba ha contribuito a risvegliare, nonché al suo amore e rispetto per la propria Madrepatria, il Capo dei Ministero degli Esteri indiano, rispondendo all’ultimatum statunitense, afferma:
I nostri legami con qualsiasi Paese, o tutti i legami che abbiamo con vari Paesi, hanno un valore autonomo e non dovrebbero essere considerati attraverso la lente di un terzo Paese. Per quanto riguarda specificatamente le relazioni tra India e Russia, abbiamo una partnership solida e collaudata nel tempo.
A fine Luglio, Tata Motors – la più importante multinazionale automobilistica indiana, fondata nel 1945 da Jamshetji Tata – compra Iveco Group, il marchio italiano di veicoli commerciali.
L’Italia nella sua storia, quando il patriottismo era vigoroso, ha sempre primeggiato in molteplici campi: dalla cultura all’arte, dalla moda alla cucina, incluso quello tecnologico. Antecedente alla Prima Guerra Mondiale, l’Italia era persino una potenza militare che sia Francia che Inghilterra preferivano non affrontare.
Fu per amore della guerra, voluta e favorita da alcune potenze militari Occidentali, che si arrivò alla Prima Guerra Mondiale e in seguito alla Seconda sfruttando le profonde ingiustizie di proposito imposte nei trattati che sancirono la fine della Prima Guerra.
Swami insiste molto su due aspetti propedeutici al cammino spirituale:
- l’amore verso la Madrepatria, che si traduce in servizio altruistico o seva, e
- nel diffondere con l’esempio personale i Valori Umani, iniziando dal proprio focolare domestico ed estendendoli progressivamente a tutta la Patria.
Questi due punti li sintetizza in quel “rendete l’India“, nel nostro caso l’Italia, “forte e felice, affinché non sia un peso per gli altri Paesi, o addirittura una tentazione“.
Pertanto, proprio perché devoti di Bhagawan e a dispetto delle attuali politiche che stanno letteralmente devastando il nostro Paese e il suo futuro che dovremmo senza indugi amare l’Italia, insegnando, sempre con l’esempio, anche agli altri italiani a fare altrettanto, invece di criticarla e ferirla ulteriormente. Ci pensa già la politica ad umiliare il Bel Paese, a buttare benzina sul fuoco. Recentemente il nostro Primo Ministro ha chiesto un prestito di 14 miliardi, restituibile in 45 anni, finalizzato all’acquisto di armi da inviare in Ucraina. Uno sfregio all’art. 11 della Costituzione.
Una volta Baba disse ad un Suo devoto: “L’italia sarà per l’Occidente, quello che l’India sarà per il mondo intero!“
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Il Nome e la Forma sono inseparabili

Il Guru non necessariamente viene in forma concreta; può sollecitare gli impulsi e le spinte superiori attraverso un amico, un libro o un evento che rivelano la realtà in un lampo. Dopo questo risveglio, il resto è per lo più nelle mani dell’aspirante. Il Guru può, al massimo, guardare e guidare.
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Solo dopo il mondo cambia in meglio
Una volta qualcuno chiese a Baba: Swami, come fai a sostenere che il mondo stia andando in meglio quando si riscontrano ovunque guerre, conflitti, disagi sociali, ingiustizie. etc.
Baba diede una risposta di questo tipo: Ora che la luce sta aumentando state notando la sporcizia che nel buio non si vedeva!
Se indagassimo sull’attuale stato del mondo, scopriremo che è assai peggio di quanto ce lo descrivono stampa e TV.
In Ucraina si combatte solo una delle oltre 25 guerre attualmente in corso. I senza tetto, gli indigenti che incontriamo per strada sono solo un numero trascurabile (passatemi il termine) rispetto a tutti quelli nel mondo che si preferisce non vedere. Chi non riesce a procurarsi il cibo regolarmente tutti i giorni sono un numero crescente anche nei Paesi considerati ricchi.
Tuttavia il vero problema non è cosa vediamo, ma chi vede. La vera sfida è comprendere la stretta relazione tra quello che c’è fuori e la sua origine: i nostri pensieri.
Il Maestro Zen Thich Nhat Hanh, in Essere Pace, afferma in modo stringato e diretto: “La violenza è sempre vicina. I semi della violenza sono individuabili nei nostri pensieri …“.
Baba richiama questo stesso concetto in moltissimi Suoi Discorsi.
Ora che la luce nel mondo sta pian piano aumentando e notiamo il marciume, assicuriamoci di non perdiamo la testa… altrimenti come facciamo ad usarla?
Evitiamo di corriamo dietro a stravaganti e strillanti novità che promettono di fare del mondo un posto migliore. Non lasciamoci ingannare, o influenzare da coloro che promettono miracoli laddove nemmeno possono accedere. Queste aspettative sono la nostra irresponsabilità.
Il mondo cambia in meglio quando in meglio cambiamo noi stessi. Per cambiare noi stessi dobbiamo sia volerlo, sia impegnarci in prima persona. Non dobbiamo fare gli scarica barili attribuendo le colpe alla politica, al sistema, o comunque a terzi. Tutti siamo ugualmente Divini, tutti, nel nostro intimo possiamo fare e provocare la differenza!