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Introspezione e autoanalisi
La regolare lettura dei Testi Sacri, le indicazioni contenute nei Discorsi Divini dei Maestri realizzati e la compagnia dei veri ricercatori, satsang, sono requisiti di base in qualsiasi cammino spirituale. Tuttavia, tutto questo resta allo stadio del propedeutico o poco più.
Leggere e capire quanto letto non è cosa difficile. Comprendere è di un altro ordine; non è così scontato come i più sono indotti a credere, data l’abitudine di utilizzare questi due termini come intercalari, equiparandone i significati. Hanno molto in comune, ma il secondo è il gradino superiore. Il primo rappresenta l’omologazione, l’accezione generica, ossia di serie, il secondo la personalizzazione.
Prendiamo un esempio dall’arte culinaria. Per tutte le varietà di pizze, la base è sempre la medesima. Una pizza margherita e una pizza alle verdure condividono lo stesso impasto. La pasta della pizza è un rapporto fra precise dosi di farina, acqua, sale, olio e lievito, indicate nella relativa ricetta. Il pizzaiolo esperto segue tali indicazioni, ma sa che essa non contempla i fattori specifici nei quali lui si trova ad operare. In certune condizioni ambientali, come il variare dell’umidità, della temperatura, etc., dovrà aggiungere modiche quantità di farina, o di acqua, oppure lavorare l’impasto più a lungo, al fine di ottenere un buon risultato. Questa operazione, suggerita dall’esperienza e da una chiara visione del risultato che desidera conseguire, implica uscire dall’omologazione, o standardizzazione, in favore della personalizzazione, di quello specifico “qui e ora” in cui si trova ad operare. Questa personalizzazione non stravolge la ricetta, né il pizzaiolo l’adatta a sé stesso o alle proprie esigenze. Tali personalizzazioni sono finalizzate all’obiettivo; lui, il pizzaiolo, è solo il mezzo, mai deve confondersi con il fine.
Similmente nel cammino spirituale: i Testi Sacri sono autorevoli, non ci devono essere dubbi, ma l’attenersi alla loro pratica sarà poco fruttuosa se si rimane rilegati al livello del mero “capire“. Le Sacre Scritture non sono destinate al corpo e alla mente dell’uomo, sebbene questi siano trattati, bensì al suo spirito. È questo che, a tempo debito, si fonderà in Quello.
La persona che segue un cammino spirituale non deve ridursi al pari di un animale in addestramento. La spiritualità richiede intelligenza; infatti, è lei che permette di capire, ed è sempre lei, mediante altre sue facoltà, che lo porta a comprendere, indirizzandolo a superare anche questo stadio, per “essere” l’oggetto stesso del compreso.
Un violino, “tecnicamente“, si suona strofinando la corda dell’archetto in quelle dello strumento. Ovviamente, tutti concorderanno che questo “tecnicamente” nella sua effettività è fallace. Affinché il suono del violino risulti gradevole è fondamentale che lo strumento sia accordato e che a suonarlo sia un esperto, non un improvvisato allo sbaraglio.
Anche questa analogia si confà al sadaka, colui che è impegnato nel cammino spirituale. Il passaggio tra “capire” e “comprendere” richiede una sorta di “intonazione“, un progressivo capire che sfocia in modo naturale nel comprendere, nella nota intonata.
L’intonazione di uno strumento a corde richiede un progressivo aumentare o attenuare la tensione delle corde sinché saranno intonate in relazione alla nota di riferimento: il la. Mentre l’intonazione è una mera frequenza, la nota è molto di più: oltre alla sua specifica frequenza, omologazione, trasmette la profondità del sentimento, la personalizzazione del suonatore. Infatti, nessun strumento elettronico può conferire alla musica l’espressività di uno strumento vero e proprio.
L’introspezione e l’autoanalisi sono gli strumenti che permettono a ricercatore spirituale di fluire dal capire al comprendere. Richiedono una non facile onestà di guardarsi dentro, di ricercare ed esaminare i più piccoli, intimi e profondi dettagli che compongono la propria personalità, il proprio ego. La paura che l’Io uccida l’io, il proprio sé uccida l’ego, fa desistere la maggior parte degli aspiranti spirituali. Fa loro volgere lo sguardo altrove, verso cose più gradite, appaganti, avvallando pensieri giustificativi e interpretando le Scritture in modo da permettere ai due, il sé e l’ego, di coesistano senza incontrarsi. Atteggiamento questo non proficuo allo scopo ultimo del sadaka.
Questa paura deve essere superata nei modi e nei tempi che tutti i Testi Sacri lasciano stabilire al sadaka. Il passo è suo. Non deve essere spinto, né esercitate pressioni, né lui deve essere frettoloso. Deve calibrare le tempistiche a seconda delle proprie esigenze e della percezione che ha della sua realtà e condizione.
La Verità non è di passaggio, è un punto stabile e immutabile che va oltre l’alba e il tramonto dei tempi. Per tale motivo non mette urgenza a nessuno; al contrario, lascia a tutti il tempo di cui necessitano per rendersi conto delle proprie illusioni ed iniziare, così, in modo costante, serio e responsabile a smontarle, a rigettare ogni loro sostegno e giustificazione. L’onestà di guardarsi dentro con obiettività diventerà naturale, per cui praticherà l’introspezione e l’autoanalisi senza interruzione in ogni suo atto.
Ora, non più deviato dall’ignoranza di perdere la propria individualità, sarà auto motivato a conquistare lo stadio del comprendere, il trampolino di lancio per “essere“.
Capire e comprendere sono mezzi che, per essere efficaci richiedono costante manutenzione, ovvero, una scrupolosa ricorsiva introspezione e autoanalisi, sia a livello fisico, che a livello di mente. C’è una stretta correlazione tra fisico e mente.
A livello fisico va data una indicibile importanza all’alimentazione. Questa deve essere rigorosamente vegetariana. Non solo per il rispetto verso gli animali, che potrebbe anche risultare marginale per alcuni, bensì per l’influenza deleteria che il cibo non vegetariano ha sulla propria mente. L’inefficienza della mente incide negativamente sugli strumenti che mette a disposizione, capire e comprendere, e di riflesso il loro corretto utilizzo in seno ai Testi Sacri e alle facoltà dell’introspezione e dell’autoanalisi. Quest’ultime, insieme alla volontà, mettono il morso ai sensi e ai desideri, due fattori in grado di destabilizzare la mente e non favorire un corretto atteggiamento alle altalenanti situazioni della vita.
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Satsang: diverse modalità, lo stesso fine
Il termine satsang definisce un gruppo di persone che tramite il dialogo, l’ascolto, la riflessione e la meditazione si pongono come obiettivo il raggiungimento della Realtà, ovvero la Verità. Ne consegue che esistono diverse modalità per impostare un satsang. Tuttavia queste non devono alterarne la sua finalità.
In linea di massima e senza presunzione di esaustività, i satsang si possono tenere in due principali modalità, che per comodità definiremo: stile “conferenza” e stile “circolo di studio“. La scelta di una o dell’altra modalità è dettata da questioni operative, o specifiche esigenze. In ogni caso non alterano il loro obiettivo fondamentale, ovvero, sperimentare l’Unità del Sé.
Nella modalità stile “conferenza” la parola viene presa da una o da poche persone, mentre tutte le altre ascoltano. In alcuni casi, alla fine degli interventi, è possibile sottoporre delle domande di approfondimento, mentre in altri casi questo momento non è previsto o non è fattibile.
Nella modalità stile “Circoli di Studio” (CdS), invece, i partecipanti si dispongono in cerchio e di norma intervengono a turno rotatorio sul tema oggetto dell’incontro, esponendo le proprie riflessioni in modo sintetico, chiaro e il più distaccato possibile, ovvero in modo meno coinvolto possibile.
Gli incontri stile CdS possono essere attuati in due modalità, che per pura comodità definiamo: “formale” e “fraterna“
Nella modalità “formale” ogni partecipante interviene evitando di relazionarsi con gli altri. In sostanza ognuno da’ il suo contributo quando chiamato e raccoglie dal gruppo quanto necessita senza chiedere approfondimenti.
Nella modalità “fraterna“, invece, l’interazione con gli altri è auspicabile a patto che sia scevra da giudizi, prevaricazioni e contestazioni. Questa soluzione spinge il partecipante a mettersi in gioco in modo più profondo. Qui si cerca di toccare quell’aspetto unitario e solidale caratteristico dei gruppi affiatati, dei commilitoni, degli alpinisti in cordata. Questa soluzione fa emergere maggiormente la consapevolezza che il bene proprio, al pari del bene dell’altro, sono interdipendente in modo diretto e mutuo al bene comune. In questa modalità il dialogo è più enfatizzato rispetto a quella “formale“.
Questa pratica spirituale, indipendentemente dalla impostazioni stile “conferenza” o “CdS” e relative modalità, assicura matematici benefici ai suoi costanti aderenti che si approcciano praticando l’ascolto, la riflessione e la meditazione.